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Francois Jacob (1920)
da Il gioco dei possibili Ed. A. Mondadori, saggi, trad. it. 1983 ( pg. 58-63) Il libro è al momento fuori commercio L’azione della selezione è stata spesso paragonata a quella di un ingegnere, ma il paragone non sembra molto felice, in primo luogo perché, contrariamente all’evoluzione, l’ingegnere lavora a tavolino secondo un progetto lungamente maturato, poi perché, per fabbricare una nuova struttura non procede necessariamente a partire da oggetti. La lampadina non deriva dalla candela, né il reattore dal motore a scoppio. Per produrre un nuovo oggetto l’ingegnere dispone sia di materiali appositamente destinati a quell’uso, sia di macchine progettate esclusivamente a quel fine. Infine perché gli oggetti prodotti dall’ingegnere, per lo meno da un buon ingegnere, raggiungono il livello di perfezione permesso dalla tecnologia della sua epoca. L’evoluzione invece resta lontana dalla perfezione, come ha continuamente ripetuto Darwin che si trovava a controbattere l’argomento della perfetta creazione. In ogni pagina dell’Origine delle specie, Darwin insiste sulle imperfezioni di struttura e di funzione del mondo vivente. Non cessa mai di sottolineare le bizzarrie e le strane soluzioni che un Dio ragionevole non avrebbe mai utilizzato. E uno dei migliori argomenti contro la perfezione sta nell’estinzione delle specie. Si possono valutare nell’ordine di parecchi milioni le specie animali attualmente viventi. Ma il numero delle specie che si sono estinte dopo aver popolato la Terra, secondo un calcolo di G. G. Simpson, ammonta a circa cinquecento milioni. L’evoluzione non trae le sue novità dal nulla. Lavora su ciò che già esiste, sia che trasformi un sistema antico per dargli una funzione nuova, sia che combini insieme sistemi diversi per costruirne uno più complesso. Il processo dell’evoluzione non assomiglia in alcun aspetto al comportamento umano. Ma se si vuol giocare con i paragoni, bisogna dire che la selezione naturale opera non come un ingegnere ma come un bricoleur, il quale non sa esattamente che cosa produrrà, ma che recupera tutto quello che trova in giro, le cose più strane e diverse, pezzi di spago o di legno, vecchi cartoni che potrebbero eventualmente fornirgli del materiale: insomma un bricoleur che utilizza tutto ciò che ha sotto mano per farne qualche oggetto utile. L’ingegnere
si mette all’opera solo dopo aver riunito i materiali e gli strumenti che
servono esattamente al suo progetto. Il bricoleur, invece, si arrangia con gli
scarti. La maggior parte delle volte gli oggetti che produce non fanno parte di
un progetto più generale, ma sono il risultato di una serie di avvenimenti
contingenti, il frutto di tutte le occasioni che gli si sono presentate per
arricchire la sua collezione di cianfrusaglie. Come ha sottolineato Claude
Lévi-Strausss[1]
gli strumenti del bricoleur, contrariamente a quelli dell’ingegnere, non
possono essere progettati in anticipo. I materiali di cui dispone non hanno una
destinazione precisa. Ciascuno può essere utilizzato per cose diverse. Questi
oggetti hanno in comune soltanto il fatto che “potrebbero sempre servire”. A
che cosa? Dipende dalle circostanze. Per molti aspetti il processo dell’evoluzione
ricorda questo modo di operare. Spesso senza progetti a lungo termine, il
bricoleur prende un oggetto dal suo stock, e gli dà una funzione inattesa. Da
una vecchia ruota di automobile costruisce un ventilatore; da un tavolo rotto un
parasole. Questo genere di operazione non è molto diverso da ciò che compie l’evoluzione
quando produce un’ala a partire da una
zampa, o un pezzo di orecchio con un frammento di mascella. Un punto che
già aveva notato Darwin nel libro che ha dedicato alla fecondazione delle orchidee.
Per Darwin le nuove strutture vengono elaborate a partire da organi preesistenti
che in origine erano incaricati di un determinato compito ma che si sono
progressivamente adattati a funzioni differenti. Nelle orchidee, ad esempio,
esisteva una specie di colla che inizialmente tratteneva il polline sullo
stigma. Dopo una leggera modificazione, questa colla ha permesso di attaccare il
polline al corpo degli insetti che a quel punto furono in grado di assicurare la
fecondazione incrociata. Allo stesso modo le strutture che sembrano non avere
né significato né funzione e che, secondo le parole di Darwin, assomigliano a
“pezzi di anatomia inutile”, sono facilmente spiegabili come vestigia di
qualche funzione più antica. Così , conclude Darwin, “se un uomo costruisce
una macchina con un fine determinato, ma usa allo scopo, modificandoli
leggermente, vecchie ruote, vecchie pulegge e vecchie molle, la macchina, con
tutte le sue parti, potrà essere considerata come organizzata in vista di quel
fine. Così , in natura, è presumibile che le diverse parti di ogni essere
vivente siano servite, mediante leggere modificazioni, a differenti progetti, e
abbiano funzionato nella macchina vivente con più forme specifiche antiche e
distinte”. L’evoluzione si comporta come un bricoleur che nel corso di
milioni e milioni di anni rimaneggia lentamente la sua opera, ritoccandola
continuamente, tagliando da una parte, allungando da un’altra, cogliendo tutte
le occasioni per aggiustare, trasformare, creare. Ecco per esempio come si è
formato, secondo Ernst Mayr, il polmone dei vertebrati terrestri. Il suo
sviluppo è cominciato in certi pesci d’acqua dolce che vivevano in acque
stagnanti e quindi povere di ossigeno. Questi pesci presero l’abitudine ad
inghiottire aria e ad assorbire l’ossigeno attraverso le pareti dell’esofago.
In tali condizioni un allargamento delle pareti si traduceva in un vantaggio
selettivo. Si formarono così dei diverticoli dell’esofago che, sotto l’effetto
di una continua spinta selettiva, poco a poco si ingrandirono per trasformarsi
finalmente in polmoni. La evoluzione ulteriore dei polmoni fu solo una
elaborazione sul tema, con l’accrescimento della superficie utilizzata per il
passaggio dell’ossigeno e con la vascolarizzazione. Fabbricare un polmone con
un pezzo di esofago assomiglia molto a fare una gonna con una tenda della nonna.
Più ingegneri che si applicano a uno stesso problema hanno molte probabilità
di raggiungere lo stesso risultato: tutte le automobili si assomigliano, così
come si assomigliano tutte le macchine fotografiche e le penne. Invece, più
bricoleur che si interessano dello stesso problema, trovano soluzioni diverse, a
seconda delle occasioni che si presentano loro. Lo stesso avviene per i prodotti
dell’evoluzione, come mostra ad esempio la diversità degli occhi esistenti
nel mondo vivente. Possedere dei fotoricettori, evidentemente, costituisce un
grande vantaggio in molte situazioni. Nel corso dell’evoluzione, l’occhio è
comparso in forme molto diverse, che si basano su almeno tre principi fisici
differenti: la lente, il buco di spillo e i tubi multipli. I più raffinati,
come i nostri, sono gli occhi a lente che formano l’immagine, perché l’informazione
non riguarda soltanto l’intensità della luce, ma anche gli oggetti da cui la
luce proviene, la loro forma, colore, posizione, movimento, velocità, distanza,
ecc. Strutture cosi elaborate sono necessariamente molto complesse, possono
quindi svilupparsi solo in organismi che siano già di per sé complessi. Si
sarebbe allora portati a credere che esiste un modo e uno solo di produrre
strutture di questo tipo. Ma non è cosi. L’occhio a lente è comparso almeno
due volte, nei molluschi e nei vertebrati.
[1] Claude Lévi-Strausss (1908) nel suo libro Il pensiero selvaggio mette a confronto il pensiero magico dei "primitivi" con il pensiero scientifico occidentale per individuarne analogie e differenze, Egli paragona il pensiero magico all'arte del bricoleur, in quanto utilizza frammenti di eventi per costruire un'organica conoscenza del mondo
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