Ussher

Paley

Hutton

E. Darwin

Buffon

Lamarck

Cuvier

Lyell

C. Dawin

Wallace

Humboldt

Teilhard de Chardin

Stephen

Monod   Jay Gould

Simpson

Jacob

Wilson

Mayr

Lewontin

Margulis

Gli sviluppi

La riscoperta, agli inizi del Novecento, del lavoro di Mendel, i successivi studi di genetica delle popolazioni e naturalmente la nascita della biochimica e la conseguente individuazione della struttura del DNA, della replicazione e della trasmissione dell’informazione genetica, apportarono ulteriori conferme alla teoria evolutiva e spiegarono in modo soddisfacente i meccanismi che consentono l’invarianza della specie e le sue modifiche. Contemporaneamente gli zoologi, il cui esponente più significativo e noto è Ernst Mayr  (1904), misero a punto la definizione biologica delle specie. Studiando sul campo le variazioni geografiche delle specie, essi verificarono ulteriormente ciò che Darwin aveva compreso attraverso l’osservazione dei fringuelli delle Galapagos, e cioè che, se un gruppo appartenente a una certa popolazione va ad occupare un territorio isolato in cui esistono nicchie ecologiche vuote, può diversificarsi e dare origine a nuove specie attraverso il meccanismo di quella che fu definita da Mayr “speciazione geografica o allopatrica ”, secondo cui una piccola popolazione rimasta isolata dalla specie madre, può casualmente possedere un patrimonio genetico molto diverso da quello dei suoi congeneri ; se per esempio da una certa popolazione composta da mille  uccelli che possiedono il piumaggio per il 60% nero e per il 40% marrone, si allontanano 10 individui, è improbabile che 6 abbiano le piume nere e 4 marroni e può addirittura succedere che tutti abbiano il piumaggio marrone ; così: alcuni geni possono andare perduti e nuove mutazioni possono facilmente affermarsi. Col tempo tale popolazione possiederà un nuovo patrimonio ereditario, che tenderà a differenziarsi ulteriormente a causa del sopraggiungere di ulteriori mutazioni e di una selezione legata alle diverse condizioni ambientali.

La paleontologia, inizialmente una disciplina eminentemente descrittiva, che si preoccupava di individuare i legami di parentela che univano reperti fossili, ha subito un profondo rinnovamento ad opera di George G. Simpson: in Tempo and mode in evolution[1] (1944)  dimostrava che “[...] la storia della vita, così come risulta dai resti fossili disponibili, è compatibile con i processi evolutivi della mutazione e della variazione genetica guidata dalla selezione naturale verso l’adattamento delle popolazioni [...]”

Nel 1947 si tenne un congresso a Princeton dal titolo Genetica, Paleontologia ed Evoluzione; in esso fu ufficialmente sancito ciò che negli anni precedenti era andato maturando, cioè una profonda ed ampia convergenza di zoologi, genetisti, paleontologi sui meccanismi fondamentali attraverso cui si svolge l’evoluzione; alla nuova teoria evolutiva che ampliava la teoria darwiniana, conservandone però i principi fondamentali, fu dato il nome di “teoria sintetica dell’evoluzione”, per porre l’accento sulla straordinaria, sostanziale convergenza fra le varie discipline in temi evolutivi e sul contributo che le stesse erano state in grado di offrire. Il congresso segnò simbolicamente la data di nascita di quella teoria che era ormai divenuta la teoria unificante per tutta la biologia, e che tale è rimasta sino ad oggi.

Naturalmente i problemi aperti sono ancora molti.

Sin dal momento della formulazione della teoria darwiniana, molti scienziati, fra cui il fedele Huxley[2], criticarono il concetto di un’evoluzione graduale e continua; lo stesso Darwin era ben consapevole della carenza di fossili che testimoniassero la graduale trasformazione da una specie all’altra e della difficoltà presente nel prefigurare il valore adattativo degli stadi intermedi di strutture complesse (a che cosa può servire un cristallino se non c’è una retina che raccoglie le informazioni?). Mayr ed altri esponenti della Sintesi hanno contrastato queste obiezioni introducendo il concetto di preadattamento e formulando la teoria della speciazione allopatrica, che giustifica la carenza delle forme fossili intermedie. Contributi importanti alla costruzione del  modello evolutivo attualmente condiviso dagli evoluzionisti contemporanei sono venuti da Monod e Jacob.

Negli anni settanta  Niels Eldredge, Steven M. Stanley e Stephen Jay Gould hanno proposto la “teoria degli equilibri punteggiati”, che, contrariamente a quanto è stato detto dai mass media, non si contrappone nettamente alla teoria della Sintesi, ma offre ulteriori precisazioni e apre nuovi indirizzi di ricerca. Gli studiosi succitati sostengono che, malgrado la paleontologia attualmente ci dia un quadro sufficientemente completo delle specie esistite in passato, queste non mostrano variazioni apprezzabili nel tempo ed i cambiamenti morfologici al loro interno sono piccoli e non orientati, per cui la specie si mantiene stabile per milioni e milioni di anni, per essere poi bruscamente sostituita da una nuova ; un’affermazione simile era già stata fatta da Simpson, che aveva parlato di evoluzione quantica a proposito della trasformazione rapida di una popolazione in condizione di squilibrio (1944) . Questa teoria ha trovato conferma nello studio di molluschi fossili del Cenozoico del lago Turkana (ex lago Rodolfo, in Kenia), in cui le conchiglie rivelano periodi di stabilità di circa 3-5 milioni di anni, intervallati da periodi assai brevi di trasformazioni (5-50000 anni) e da fenomeni di speciazione rapida. Stanley [3] riporta molti casi di forme locali di organismi (pesci e molluschi) che si sono sviluppati in un lago od in un fiume di recente formazione ( da 4000- a qualche centinaia di migliaia di anni). Nelle Haway, per esempio, ci sono delle falene che si nutrono esclusivamente di foglie di banano ; dal momento che queste piante vennero introdotte in dette isole solo un migliaio di anni fa, queste farfalle devono essere andate incontro a fenomeni di speciazione molto rapida.

La macroevoluzione, secondo la teoria degli equilibri punteggiati, è un fenomeno completamente indipendente dalla microevoluzione ; mentre cioè il darwinismo classico spiega esaurientemente gli impercettibili cambiamenti che avvengono all’interno di ciascuna specie, non sembra in grado di interpretare in modo altrettanto convincente le trasformazioni che portano alla formazione di nuove specie, generi, famiglie, classi, che si originerebbero in modo improvviso e imprevedibile, grazie al successo de “il mostro di belle speranze”, caro a Goldschmidt[4].. Almeno in alcuni casi sono dunque le imponenti trasformazioni che avvengono a livello di singoli individui che portano alla trasformazione della specie, non il rimaneggiamento del patrimonio ereditario dell’intera popolazione, come sostiene il darwinismo classico.

Le imponenti estinzioni di massa che scandiscono la storia della vita sulla terra, sono state causate da una serie di catastrofi non prevedibili; dunque il principio dell’attualismo teorizzato da Lyell non sembra valido e pertanto non è osservando i fenomeni che continuamente avvengono sotto i nostri occhi che si possono interpretare gli eventi passati. È chiaro allora che, se questo modello è valido, il presente non può essere considerato una chiave di interpretazione di ciò che è avvenuto in passato. Esistono tuttavia studiosi che non considerano le due teorie in antagonismo fra loro e accettano sia il modello di transizione graduale da una specie all’altra, sia l’origine rapida di nuove specie. A partire dalla fine degli anni 60  sono stati proposti diversi modelli di speciazione in cui non è necessario che la popolazione si venga a trovare isolata. 

Da varie parti si sono levate critiche al concetto di adattamento che sembrava essere l’onnipotente deus ex machina di tutti i processi evolutivi, teso a forgiare l’organismo perfetto ; in realtà ci sono strutture  che non sono sorte necessariamente per uno scopo (qual è la funzione adattativa del mento umano ?) e la perfezione non è di questo mondo : gli organismi interagiscono fra loro e con l’ambiente in un gioco continuo di mosse e contro mosse in cui il caso può avere un ruolo importante, per cui non sopravvive sempre necessariamente il migliore ; d’altra parte che cosa vuol dire migliore ? Alcuni batteri sopravvivono in soluzioni concentrate di acido solforico, cosa che l’uomo non è in grado di fare, si può dire per questo che i batteri sono migliori dell’uomo ?

procar.jpg (6834 byte)La nascita degli organismi Eucarioti a partire dai Procarioti (foto a lato) si può considerare il più grande salto evolutivo della Biosfera ; per spiegare questo processo ed anche le successive trasformazioni che hanno portato gli organismi unicellulari ad originare forme pluricellulari, la biologa americana Lyn Margulis ha avanzato l’ipotesi che gli Eucarioti derivino dall’aggregarsi di cellule procariote, che si sarebbero riunite fra loro in simbiosi ; questo modello evolutivo si basa sul fatto che fenomeni di endosimbiosi sono molto frequenti in natura (si pensi ai licheni , simbiosi di alghe verdi con funghi, o ai pesci abissali che sono luminescenti grazie alla simbiosi con batteri o, alle micorrize[5] nelle piante ). Anche la documentazione fossile documenta fenomeni di simbiosi avvenuti  fra piante e funghi prima che le prime invadessero la terra ferma. Anche questo modello fa riferimento alla presenza di grossi salti evolutivi,  quando molte cellule si aggregano insieme e originano forme completamente nuove, seguiti da periodi di stasi.

La teoria dell’eredità dei caratteri acquisiti (neolamarkismo), che per molti anni si era contrapposta al neodarwinismo, sembrò uscire sconfitta con la formulazione del “dogma centrale” della biologia, secondo il quale il DNA invia messaggi al citoplasma della cellula, ma non è possibile che esso riceva informazioni dal citoplasma e dall’ambiente esterno. In realtà si trattava effettivamente di un dogma, che è stato messo in crisi da ulteriori ricerche ; è stato scoperto che negli Eucarioti il DNA può venir modificato a livello dei geni regolatori (quelli cioè che hanno il compito di attivare o disattivare i veri e propri geni dall’ambiente) ; nel 1991, infatti, su Annual review of genetics sono stati descritti alcuni esperimenti che mettono in luce come in alcuni casi, soprattutto nelle piante, esiste un’influenza diretta dell’ambiente sul genotipo: piante sottoposte a concimazione intensiva, per esempio danno origine a figli che, messi in terreno povero si sviluppano molto di più rispetto a piante i cui genitori non hanno subito un trattamento simile e se si esamina il DNA della pianta così modificata, si vede che esso è aumentato di circa il 16% a livello del DNA ripetuto che sembra avere una funzione essenzialmente regolativa.

Un altro percorso di ricerca sta nella possibilità di avvicinarsi all'evoluzione attraverso un approccio religioso

Come si vede, esistono vari modelli che aiutano a comprendere come può essere avvenuta la trasformazione dei viventi, cosa che mette in luce la vitalità della teoria nel suo complesso come chiave di interpretazione di tutti i fenomeni biologici. 

[1] trad. It. :  Ritmo e meccanismo dell’evoluzione

[2]   Huxley, Thomas Henry (1825-1895) medico e biologo inglese che si preoccupò di divulgare e sostenere attraverso numerose conferenze e scritti la teoria di Darwin.

[3] Stanley L'evoluzione dell'evoluzione Ed. A. Mondadori

[4] Goldschmidt, Richard  biologo tedesco che già negli anni 40 era convinto che i meccanismi evolutivi che portavano alla macroevoluzione fossero diversi da quelli microevolutivi ; nella macroevoluzione dovessero intervenire imponenti mutazioni (macromutazioni) che avrebbero originato un organismo completamente diverso dai genitori, “il mostro di belle speranze”

[5] nel circa il 90% delle piante le radici contraggono simbiosi con ife fungine : il fungo assume glucidi dalle piante e immagazzina ioni minerali  presenti  in soluzione nel terreno, per poi cederli alle piante quando questi scarseggiano.

 

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