Leopardi
Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia
pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagione dell’anno. Voi non
potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non troviate del patimento.
Tutta quella famiglia di vegetali è in istato di sofferenza, qual
individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato
la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato
crudelmente da un’ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il
dolce mèle non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api
senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata
di teneri fiorellini. Quell’albero è infestato da un formicaio, quell’altro
da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza
e cruciato dall’aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è
offeso nel tronco o nelle radici; quell’altro ha più foglie secche;
quest’altro è roso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato ne’
frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa
ombra; troppo umido, troppo secco. L’una patisce incomodo e trova ostacolo e
ingombro nel crescere, nello stendersi; l’altra non trova dove appoggiarsi, o
si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una
pianticella sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal
vento o dal suo proprio peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola
con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella
pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co’ tuoi passi; le
stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella
donzelletta sensibile e gentile va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il
giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie,
col ferro.
Certamente
queste piante vivono; alcune perché le loro infermità non sono mortali, altre
perché ancora con malattie mortali, le piante, gli animali altresì, possono
durare a vivere qualche poco di tempo. Lo spettacolo di tanta copia di vita
all’entrare in questo giardino ci rallegra l’anima, e di qui è che questo
ci pare essere un soggiorno di gioia. Ma in verità questa vita è triste e
infelice, ogni giardino è quasi un vasto ospitale (luogo ben più deplorabile
che un cemeterio) e che se questi esseri sentono, o vogliamo dire sentissero,
certo è che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l’essere”.
(Bologna, Aprile 1826)
da Lo Zibaldone