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Gradualismo filetico

Il concetto di gradualismo filetico, secondo cui le specie divergono lentamente ed impercettibilmente le une dalle altre, era già stato criticato da G. J. Mivart  e da  Thomas Huxley (qual è il valore adattativo degli stadi intermedi di strutture complesse, a che cosa può servire un cristallino se non c’è una retina che raccoglie le informazioni?) e per controbattere a questa obiezione Mayr ed altri esponenti della Sintesi hanno introdotto il concetto di preadattamento e formulato la teoria della speciazione allopatrica, che giustifica la carenza delle forme fossili intermedie, mentre Niels Eldredge, Steven M. Stanley e Stephen Jay Gould negli anni Settanta hanno proposto la “teoria degli equilibri punteggiati”; la macroevoluzione, secondo tali studiosi, è un fenomeno completamente indipendente dalla microevoluzione e mentre il darwinismo classico spiega esaurientemente gli impercettibili cambiamenti che avvengono all’interno di ciascuna specie, non interpreta in modo altrettanto convincente le trasformazioni che portano alla formazione di nuove specie, generi, famiglie, classi, che si originerebbero in modo improvviso e imprevedibile, grazie al successo de “il mostro di belle speranze”, caro a Goldschmidt. Almeno in alcuni casi sono dunque le imponenti trasformazioni che avvengono a livello di singoli individui che portano alla trasformazione della specie, non il rimaneggiamento del patrimonio ereditario dell’intera popolazione, come sostiene il darwinismo classico.

 

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