La vita è un cespuglioNelle pagine che seguono, tratte dal primo capitolo di La vita meravigliosa (1989 ed. it. Feltrinelli 1990) S. J. Gould discute la convenzionale rappresentazione della evoluzione dei viventi attraverso immagini che sottintendono concetti parascientifici, come “progresso” e “finalità”, che presuppongono, e veicolano implicitamente, giudizi di valore relativo del tutto privi di fondamento sperimentale e fuori luogo in una impostazione scientifica rigorosa. Dopo una revisione ricca di esempi iconografici tratti da testi di divulgazione scientifica della biologia, l’autore propone la propria ricostruzione molto più casuale e accidentata, del processo evolutivo. "... La vita è un cespuglio che si ramifica copiosamente, continuamente sfrondato dalla sinistra mietitrice dell’estinzione, non una scala di progresso prevedibile. La maggior parte delle persone lo sanno forse a parole, ma non hanno questa idea radicata profondamente nel loro intelletto. Noi facciamo perciò di continuo errori ispirati dalla nostra adesione inconscia alla scala del progresso, anche quando neghiamo esplicitamente una tale antiquata concezione della vita. Consideriamo per esempio due errori, il secondo dei quali fornisce una chiave al fraintendimento convenzionale della fauna di Burgess. Innanzitutto, in un errore che io chiamo “il piccolo scherzo della vita” (Gould, 1987a), noi siamo virtualmente costretti all’errore sorprendente di citare come classici “casi da manuale” dell’”evoluzione” linee genealogiche che non hanno avuto in realtà molto successo. Questo errore è una conseguenza del nostro desiderio di estrarre una singola linea di progresso dalla topologia reale di una ricca ramificazione. In questo sforzo male ispirato siamo attratti verso cespugli così vicini alla soglia della totale annichilazione da conservare un solo ramoscello superstite, in cui tendiamo a vedere il culmine di una linea ascendente invece che il probabile ultimo sussulto di un gruppo molto più ricco ora ridotto sull’orlo dell’estinzione. [..] In un secondo grande errore , può accadere che noi abbandoniamo la scala e riconosciamo il carattere ramificato delle linee evolutive, continuando però a rappresentare l’albero della vita in un modo convenzionale, scelto per convalidare le nostre speranze di un progresso prevedibile. L’albero della vita è limitato nella sua crescita da alcune costrizioni cruciali sulla sua forma. Innanzi tutto perché ogni gruppo tassonomico ben definito può ricondurre la sua origine a un singolo progenitore comune, un albero evolutivo deve avere alla base un unico tronco. In secondo luogo, tutti i rami dell’albero o muoiono o si ramificano ulteriormente. La separazione è irrevocabile; rami separati non possono tornare a unirsi. Eppure, all’interno di queste costrizioni della monofilia e della divergenza, le possibilità geometriche degli alberi evolutivi sono quasi infinite. Un cespuglio può espandersi rapidamente sino a raggiungere la massima larghezza e crescere poi di continuo in altezza, come un albero di Natale. Oppure può diversificarsi rapidamente, mantenendo poi appieno la sua larghezza grazie a un equilibrio continuo di innovazione e morte. Oppure, come le erbe mobili che si staccano dalle radici e vengono fatte rotolare dal vento, può ramificarsi disordinatamente in un groviglio confuso di forme e grandezze. Ignorando tutte queste molteplici possibilità, l’iconografia convenzionale si è fissata su un modello primario, il “cono della diversità crescente”, un albero di Natale capovolto. La vita comincia dalla limitazione dalla semplicità e procede sempre più verso l’alto e, per implicazioni ,migliora continuamente. ...Tutti questi alberi mostrano lo stesso modello: i rami crescono sempre verso l’alto e verso l’esterno, di tanto in tanto sdoppiandosi. Se qualcuna delle prime linnee genealogiche si estingue, la formazione di altre linee compensa ben presto queste perdite. Le prime estinzioni possono eliminare solo piccoli rami in prossimità del tronco centrale. L’evoluzione si sviluppa come se l’albero stesse crescendo dentro un imbuto, riempiendo il cono in continua espansione delle possibilità. Nella sua interpretazione convenzionale, il cono della diversità trasmette un’interessante combinazione di significati. La dimensione orizzontale manifesta la diversità: pesci più insetti più lumache più stelle di mare in alto occupano lateralmente molto più spazio dei soli platelminti alla base. Ma che cosa rappresenta la dimensione verticale? A una lettura letterale le posizioni sull’asse verticale rappresentano solo il prima e il poi, il più recente e il più antico, nel tempo geologico: gli organismi che si trovano in prossimità del cannello dell’imbuto sono antichi, quelli situati in prossimità del bordo superiore sono recenti. Noi leggiamo però movimento verso l’alto anche come un passaggio dal semplice al complesso, o dal primitivo all’evoluto. La posizione nel tempo si combina con un giudizio di valore. I nostri discorsi comuni sugli animali seguono questa iconografia. Il tema della natura è la diversità. Noi viviamo circondati da ramoscelli coevi dell’albero della vita. Nel mondo di Darwin tutti gli animali (in quanto sopravvissuti a una competizione spietata) hanno diritto a essere considerati di eguale status. Perché, dunque, noi costruiamo di solito una gerarchia alla quale sono associati giudizi di valore (legati per esempio alla complessità, o alla vicinanza relativa all’uomo)? Nella recensione di un libro sul corteggiamento nel regno animale, Jonathan Weiner (“New York Times Book Review”, 27 marzo 1988) descrive lo schema di organizzazione dell’autore “Procedendo in un ordine vagamente evoluzionistico, il signor Walters comincia con gli xifosuri, che da 200 milioni di anni si riuniscono e si accoppiano su spiagge buie, in sincronismo con le maree e con la luna.” In capitoli successivi si compie “il lungo salto evoluzionistico alle bizzarrie dello scimpanzé pigmeo”. Perché questa sequenza viene chiamata “ordine evoluzionistico”? Gli xifosuri, anatomicamente complessi, non sono affatto progenitori dei vertebrati; i due phyla, degli artropodi e dei cordati, sono stati separati sin dalla più antica documentazione fossile della vita pluricellulare. Un altro esempio recente, a dimostrazione del fatto che questo errore infetta non solo i discorsi dei profani ma anche i discorsi tecnici, ci è fornito da un articolo di fondo in “Science”, la principale rivista scientifica d’America, in cui si costruisce un ordine altrettanto insensato della gradazione regolare” di White. Facendo un commento sulle specie usate comunemente per ricerche di laboratorio, l’autore dell’articolo discute le posizioni gerarchiche fra gli animali unicellulari e fa congetture su quali siano le forme più evolute. “Più in alto sulla scala dell’evoluzione,” prosegue, “i nematodi, i ditteri e le rane hanno il vantaggio di aver conseguito una complessità al di là della singola cellula, ma rappresentano specie molto più semplici dei mammiferi (10 giugno 1988). L’idea infondata dell’esistenza di un singolo ordine nella molteplice diversità della vita moderna deriva dalle nostre iconografie convenzionali e dai pregiudizi che le alimentano: la scala della vita e il cono della crescente diversità. Quando si usa l’immagine della scala, gli xifosuri vengono giudicati semplici; quando si usa il cono, appaiono antichi. E nella grande combinazione di nozioni discussa sopra l’una cosa implica l’altra: scendendo lungo la scala si va in direzione di una crescente antichità, mentre scendendo lungo il cono si retrocede verso una sempre maggiore semplicità. Non penso che alla base della nostra accettazione di queste false iconografie della scala e del cono ci sia un qualche particolare segreto o mistero o un qualche motivo particolarmente sottile. Queste immagini vengono adottate perché nutrono le nostre speranze di un universo dotato di un significato intrinseco definito nei nostri termini. Ma, come osservò Freud il nostro rapporto con la scienza dev’essere paradossale perché, per ogni guadagno importante nella conoscenza e nel potere, siamo costretti a pagare un prezzo quasi intollerabile: il costo psicologico della nostra progressiva rimozione dal centro delle cose e della nostra crescente emarginazione in un universo che non si cura di noi. Così , fisica e astronomia hanno relegato il nostro mondo in un cantuccio dell’universo, e la biologia ha ridimensionato in nostro rango da immagine di Dio a scimmia nuda. La mia professione ha contribuito a questa ridefinizione apportandovi il suo proprio choc: il fatto più spaventoso della geologia, potremmo dire. Alla fine del secolo scorso, era ormai acquisita la nozione che la terra esisteva da milioni di anni, e che l’esistenza dell’uomo occupava solo l’ultimo millimicrosecondo di questa storia: l’ultimo centimetro del chilometro cosmico, o l’ultimo secondo dell’anno geologico, nelle nostre metafore pedagogiche standard. Noi non possiamo sopportare l’implicazione centrale di questo brave new world. Se l’umanità è sorta solo ieri su un ramoscello secondario un albero rigoglioso, la vita non può, in alcun senso genuino, esistere per noi o a causa nostra. Forse noi siamo solo un ripensamento, sorta di accidente cosmico, una decorazione appesa all’albero di Natale dell’evoluzione. Quali scelte ci rimangono di fronte al fatto più spaventoso della geologia? Solo due, in realtà. Possiamo, come si sostiene in questo libro, accettare le implicazioni e imparare a cercare il significato della vita umana, compresa l’origine della moralità, in altri ambiti, più appropriati: o stoicamente, con un senso di perdita, o con gioia per la sfida se abbiamo un temperamento ottimistico. Oppure possiamo continuare a cercare un conforto cosmico nella natura leggendo la storia della vita in luce distorta. Se scegliamo la seconda strategia, le nostre manovre sono gravemente limitate dalla nostra storia geologica. Quando noi infestavamo tutta la creazione con l’eccezione dei soli primi cinque giorni, la storia della vita poteva essere intesa facilmente in funzione dell’uomo. Ma se vogliamo affermare la nostra centralità in un mondo che ha funzionato fino all’ultimo istante senza di noi, dobbiamo in qualche modo comprendere tutto ciò che venne prima come una preparazione grandiosa, un preannuncio della nostra origine in cui culmina l’evoluzione. La vecchia catena dell’essere ci fornirebbe quindi il massimo conforto, ma ora sappiamo che la grande maggioranza di creature “più semplici” non sono progenitori o anche solo prototipi dell’uomo, bensì nient’altro che rami collaterali sull’albero della vita. Il cono di crescente progresso e diversità diventa perciò la nostra inevitabile scelta iconografica. Il cono implica uno sviluppo prevedibile dal semplice al complesso, dal meno al più . L’Homo sapiens può formare solo un ramoscello, ma a se la vita si muove, anche in modo discontinuo, verso una maggiore complessità e verso capacità mentali superiori, allora l’origine finale di un’intelligenza cosciente di sé può essere implicita in tutto ciò che venne prima. In breve, non riesco a capire la nostra persistente adesione a iconografie manifestamente false della scala e del cono se non come un tentativo disperato per giustificare la nostra speranza e arroganza a livello cosmico...."
Fauna di Burgess: si tratta di un giacimento ricchissimo di fossili del Cambriano, scoperto nel 1909, sulle Montagne Rocciose canadesi, dal paleontologo C. Doolittle Walcott, il quale ne diede una interpretazione influenzata, per l'appunto, dall'idea implicita di "progresso" e di stretta consequenzialità tra forme di vita successive. Negli anni '70 un gruppo di ricercatori inglesi, Wattington, Conwey Morris e Briggs ripresero in mano le descrizioni e i disegni di Walcott "senza pregiudizi" -almeno senza pregiudizi di tipo positivista-, e ne diedero una rilettura completamente diversa, che conforta la concezione non determinista dell'evoluzione sostenuta da Gould Freud Sigmund (1856-1939), medico austriaco, fondatore della psicoanalisi. Di formazione positivista, le sue ricerche lo portarono a teorizzare una concezione del funzionamento psichico in cui il ruolo essenziale non è più quello della coscienza, ma quello dell'inconscio, con i suoi meccanismi di "ricerca del piacere" e "istinto di morte". In questo senso Freud paragona spesso le novità introdotte dalla psicoanalisi nella concezione dell'uomo e della sua posizione nel mondo, alla rivoluzione copernicana, che rappresentò il primo duro colpo al narcisismo antropocentrico, nel momento stesso in cui arricchiva le possibilità di conoscenza, e di controllo, dell’uomo sulla natura, e che proprio per questo, come la psicoanalisi ai suoi inizi, fu duramente avversato dal senso comune e dalle posizioni ideologicamente conservatrici Brave new word : letterariamente coraggioso mondo nuovo ; forse allusione al romanzo omonimo di Aldous Huxley, nipote del "mastino di Darwin", Thomas Huxley |
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