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Adattamento, limiti di un concetto

Nel presente brano Lewontin critica la tendenza, propria del Darwinismo classico, di considerare l’adattamento come una sorta di deus ex machina che tenderebbe a portare una sorta di perfezione nel mondo vivente; nei suoi scritti a proposito di questa tendenza parla spesso di visione panglossiana del mondo.

Da Enciclopedia Einaudi, 1977 alla voce Adattamento

" ... L’analisi della struttura fisica consente di determinare a priori l’idoneità e quindi di dare un giudizio sull’adattamento relativo di due forme senza conoscere preliminarmente le loro prestazioni riproduttive. Le condizioni per la previsione evolutiva a partire dall’analisi dell’adattamento relativo sono identiche a quelle valide per giudicare dell’adattamento assoluto. Una variazione nella lunghezza delle ossa lunghe delle gambe delle zebre, consentendo loro una corsa più veloce, sarà favorita nell’evoluzione a patto che:

a) la velocità della corsa sia realmente il “problema” che la zebra deve risolvere;

b) il cambiamento di velocità non abbia in compenso effetti negativi sull’adattamento dell’animale alla “risoluzione “ di altri “problemi” posti dall’ambiente;

c) l’allungamento dell’osso non determini in compenso effetti diretti sullo sviluppo o la fisiologia di altri organi o sulla sua stessa funzione.  

Anche se i leoni cacciano le zebre, non è necessariamente vero che una zebra più rapida si salvi con maggiore facilità, poiché non è affatto certo che i leoni siano limitati dalla velocità nella loro capacità di catturare la preda. Inoltre una maggiore velocità può andare a scapito del rendimento metabolico, cosicché, se per le zebre il cibo è una limitazione, il “ problema “ dell’alimentazione può essere aggravato dalla “soluzione” del “problema” della fuga dai predatori infine, ossa delle gambe più lunghe si possono rompere più facilmente, richiedono una maggiore energia di sviluppo e creano tutta una serie di problemi di morfologia integrata. L’adattamento relativo, al pari dell’adattamento assoluto, dev’essere considerato a parità di ogni altra condizione e, poiché ciò non si verifica mai, il giudizio finale sul fatto che un cambiamento particolare in un carattere determini un adattamento relativamente maggiore dipenderà dall’effetto netto sull’intero organismo. L’alternativa consisterebbe nel sostenere che l’analisi svolta in relazione a un “problema” predeterminato possa portare a definire l’adattamento, indipendentemente dal beneficio netto arrecato o meno all’organismo. Una soluzione del genere scinderebbe l’adattamento dall’evoluzione e lo trasformerebbe in un puro gioco intellettuale.

Le serie difficoltà metodologiche nell’uso di argomenti adattativi non dovrebbero far perdere di vista il fatto che molte caratteristiche degli organismi sono chiaramente adattamenti a ovvi “problemi” ambientali. Non è un caso che i pesci abbiano pinne; che le appendici dei mammiferi acquatici si siano modificate a formare natatoie pinniformi; che anitre, oche e uccelli marini abbiano zampe palmate; che i pinguini siano dotati di ali a forma di spatola, e anche che i serpenti di mare, privi di pinne, presentino una sezione trasversale appiattita: è ovvio che tutti questi caratteri sono adattamenti per la locomozione acquatica, cosicché l’idoneità riproduttiva del progenitore di queste forme è stata accresciuta dalla graduale modificazione adattativa delle loro appendici. Ne deriva che l’argomento ceteris paribus dev’essere vero in un numero di casi ragionevolmente elevato; in caso contrario non potrebbe avere luogo alcuna alterazione progressiva nel senso di tali strutture. Di conseguenza, la traduzione dei caratteri in termini di idoneità riproduttiva netta va vista in termini di continuità e di relativa indipendenza. Per “continuità” s’intende che mutamenti piccolissimi in un carattere comportano variazioni assai esigue nelle relazioni ecologiche dell’organismo, e quindi cambiamenti minimi nell’idoneità riproduttiva. La prossimità tra i caratteri si traduce in prossimità tra le idoneità. Un lievissimo cambiamento nella forma di una pinna o di un’appendice di un mammifero per renderla pinniforme non può provocare un mutamento drammatico nello schema di riconoscimento sessuale, o rendere l’organismo attraente per un gruppo del tutto nuovo di predatori. Per “relativa indipendenza” s’intende che esiste un’ampia gamma di percorsi evolutivi in base ai quali un determinato carattere può modificarsi e che, sebbene alcuni di essi possano dare origine a mutamenti compensativi in altri organi e in altri aspetti delle relazioni ecologiche dell’organismo, una percentuale non trascurabile di questi percorsi non porterà a effetti compensativi di ampiezza tale da sovrastare l’aumento di idoneità dovuto all’adattamento. In termini genetici, “relativa indipendenza” esprime la possibilità del verificarsi di una gamma di mutazioni, tutte con lo stesso effetto sul carattere primario, ma con conseguenze diverse su altri caratteri, alcuni gruppi dei quali non si tradurranno in uno svantaggio netto.

[....] Mentre è possibile usare i principi della continuità e della relativa indipendenza per spiegare tendenze adattative in caratteri realmente manifestatisi, non è lecito servirsene indiscriminatamente per affermare che tutti i caratteri sono adattativi, o che un carattere che dovrebbe evolvere in quanto sarebbe adattativo, farà necessariamente la sua comparsa. La mancanza di continuità e di relativa indipendenza può in effetti essere di grave ostacolo alle tendenze adattative. Che l’adattamento si sia verificato appare ovvio; che lo abbia fatto per la maggior parte del tempo o anche soltanto molto spesso non è affatto chiaro.

Il programma adattazionista fa talmente parte della divulgazione del darwinismo che la teoria dell’evoluzione consiste sempre più nell’applicazione acritica del programma ai caratteri manifesti o postulati degli organismi..."

 

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