La
visione panglossiana del mondo
Voltaire,
pseudonimo di Francois-Marie Arouet (1694-1778), scrittore e filosofo francese,
vivace polemista e sostenitore di una concezione empirista e laica del mondo;
pur non essendo uno scienziato fu profondamente influenzato, durante il suo
soggiorno inglese tra il 1725 e il ‘29 dalla concezione newtoniana del mondo,
che gli apparve strettamente connessa con lo sviluppo economico e civile
dell’Inghilterra del tempo, laica, parlamentare e tollerante, proiettata verso
il decollo della rivoluzione industriale. La vecchia Europa continentale,
assolutista, clericale e feudale, gli sembrava meritare l’ironia più feroce,
anche nelle sue espressioni più colte e raffinate come la filosofia del
tedesco Leibniz (rivale di Newton nella contesa dell’invenzione del calcolo
infinitesimale), che nel romanzo satirico Candido o dell’ottimismo (1759),
venne banalizzata dal precettore di Candido, Pangloss: ottimista pregiudiziale,
totalmente impermeabile a qualunque osservazione empirica che possa mettere in
crisi la sua visione del mondo precostituita. Di fatto, come appare evidente
dall’estremizzazione satirica che ne dà Voltaire, la visione del mondo di
Pangloss è una generalizzazione acritica dell’empiria più cieca e banale,
“nobilitata” dal pregiudizio religioso e teleologico.
"... Pangloss
insegnava la metafisico-teologo-cosmoscemologia. Dimostrava in modo mirabile che
non c’è effetto senza causa, e che, in questo che è il migliore dei mondi
possibili, il castello di monsignore era il più bello dei castelli e la signora
la migliore delle baronesse possibili. “E’ dimostrato” diceva “che le
cose non possono essere in altro modo: perché siccome tutto è creato per un
fine, tutto è necessariamente per il migliore dei fini. Notate che i nasi son
stati fatti per portar gli occhiali, infatti ci sono gli occhiali. Le gambe sono
evidentemente istituite per esser calzate, ed ecco che ci sono i calzoni. Le
pietre sono state formate per essere squadrate, e per farne castelli, infatti
monsignore ha un bellissimo castello; il massimo barone della provincia dev’essere
il meglio alloggiato; e siccome i maiali sono fatti per essere mangiati,
mangiamo maiale tutto l’anno; quelli che hanno affermato che tutto va bene
hanno quindi affermato una sciocchezza: bisognava dire che tutto va nel migliore
dei modi.” Candido ascoltava attentamente e innocentemente credeva; perché
trovava bellissima madamigella Cunegonde anche se non si pigliava mai la licenza
di dirglielo. Concludeva che dopo la felicità di esser nato barone di
Thunder-ten-tronckh, il secondo grado di felicità era di essere madamigella
Cunegonde; il terzo, era di vederla ogni giorno; e il quarto, di ascoltar
mastro Pangloss, il massimo filosofo della provincia, quindi della Terra intera. Un
giorno Cunegonde, andando a spasso nei pressi del castello nel boschetto che
chiamavano parco, vide tra i cespugli il dottor Pangloss che impartiva una
lezione di fisica sperimentale alla cameriera di sua mamma, piccola brunetta
assai
carina e docilissima. Siccome madamigella Cunégonde aveva spiccate
disposizioni per le scienze, osservò senza batter ciglio le reiterate
esperienze di cui fu testimone; vide chiaramente la ragion sufficiente del
dottore, gli effetti e le cause, e tornò tutta sconvolta, tutta pensosa, tutta
piena d’una gran voglia d’esser erudita, pensando che lei poteva ben essere
la ragion sufficiente del giovane Candide, il quale poteva d’altronde essere
la sua. S’imbatté in Candide tornando al castello, e arrossì ; anche Candide
arrossì , lei gli diede il buongiorno con voce rotta, e Candide le parlò senza
sapere cosa dicesse, L’indomani, dopo il pranzo, uscendo di tavola Cunegonde e
Candide si trovaron dietro un paravento; Cunégonde lasciò cadere il
fazzoletto, Candide glielo raccattò, lei gli prese innocentemente la mano,
innocentemente il giovane baciò la mano della giovinetta con una vivacità una
sensibilità, una grazia particolarissima; le bocche si incontrano, gli occhi si
accesero, le ginocchia tremarono, le mani si smarrirono. Il signor barone di
Thunder ten-ttrnckh passa accanto al paravento e, vedendo quella causa e
quell’effetto, cacciò Candide dal castello a grandi pedate nel sedere;
Cunegonde svenne; appena tornata in sé la signora baronessa la schiaffeggiò; e
tutto fu desolazione nel più bello e più piacevole dei castelli possibili... "
Da
Candido, Rizzoli
1974, pp 18-20
Nemmeno
alla conclusione di una vicenda avventurosa e ricca di esperienze traumatiche,
che in Candido hanno messo in crisi la concezione panglossiana del “migliore
dei mondi possibili”, il vecchio precettore, anche se riconvertito al lavoro
manuale, rinuncia alla giustificazione finalistica “a posteriori”
dell’accaduto.
Scelta antologica
a cura di Francesca Civile
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