La vista informa continuamente
gli animali sul mondo che li circonda, permettendo interpretare gli oggetti. Il mondo percepito, però, è dentro ciascuno di noi, anche se l'uomo e gli
altri animale hanno la sensazione della presenza di un universo fisico e reale.
Un paragone ingenuo è quello fra l'occhio e la macchina fotografica: effettivamente, nell'occhio esiste un diaframma, costituito dall'iride, una lente, il cristallino, e una "pellicola fotografica", la retina. Così, la luce proveniente dagli oggetti osservati, si proietta sulla
retina, fornendo un'immagine capovolta e rimpicciolita dell'oggetto. Già Cartesio nel Seicento aveva formulato un'ipotesi simile, prendendo spunto dalle camere oscure e
Ramón y Cajal
agli inizi del Novecento aveva pensato che la retina effettivamente fosse analoga alla pellicola fotografica. Le cose sono più complicate di quanto sembri. L'occhio sarebbe una pessima macchina fotografica dal punto di vista meccanico: la lente è scadente, l'umor vitreo e l'umor acqueo creano problemi, c'è inoltre da considerare il
punto cieco, insensibile agli stimoli luminosi. Anche se sulla retina si formasse un'immagine perfetta del mondo esterno e questa, così ben fatta, fosse inviata alla corteccia visiva, rimane un grosso problema: chi legge l'immagine? Il problema della lettura dell'informazione si sposta così dall'occhio al cervello, dove non esiste alcun omuncolo che "controlla la macchina". D'altra parte il cervello non soltanto permette di
vedere, ma soprattutto di
discriminare, distinguere gli oggetti da uno sfondo, riconoscerne gli aspetti significativi, identificare ad esempio un volto sia di profilo che di fronte, aggrottato o ridente, minaccioso o amichevole.
La macchina fotografica non capisce ciò che fotografa, anche se si tratta di una macchina altamente professionale.
Il problema della visione, pertanto, è strettamente legato al problema, non ancora risolto completamente, della conoscenza. Al momento noi possiamo dare solo parziali risposte su domande del tipo: