Wilson dice: “L’estinzione è un evento irreversibile”. Grosse dimensioni corporee, così come speciazioni troppo spinte, significano popolazioni più ridotte e quindi estinzioni precoci. Le specie di più grosse dimensioni sono “più deboli” poiché il loro tasso riproduttivo è più basso. Pertanto, se vengono colpiti da un episodio di alta mortalità, si riprendono più lentamente e se, poi, interviene un secondo episodio ecco che la loro probabilità di precipitare verso l’estinzione aumenta. In
epoca preistorica gli agenti principali del ”l’apocalisse ambientale”
furono la caccia eccessiva e gli Fra le cause dell'estinzione possiamo citare:
Vi sono molti e differenti tipi di organismi nella biosfera. Nello stesso momento in cui organismi dannosi, resistenti ai biocidi, stanno moltiplicandosi, molte specie di organismi utili, potenzialmente importanti, hanno perduto o stanno perdendo la battaglia contro l’influenza negativa della popolazione umana. Gli esseri umani crescono, si moltiplicano, allargano le loro attività ed occupano più terra. Questo processo distrugge gli habitat di molti organismi. Qualche volta tutto ciò è utile per gli esseri umani, come quando viene prosciugato uno stagno, luogo di riproduzione delle zanzare. Altre volte il danno colpisce specie utili e vantaggiose per gli esseri umani. Lo smog causato dalle automobili e dall’industria sta distruggendo molte specie di alberi, in una vasta area della California del Sud. Gli aghi di pino giallo diventano gradualmente di colore marrone, mentre gli alberi di palma conservano solo un piccolo ciuffo di fronde alla sommità. In questi casi la fotosintesi è minima e le piante muoiono. Il parco nazionale di Everglades occupa una zona del Sud della Florida; la sopravvivenza del parco naturale dipende dal lento movimento di una sottile massa d’acqua che si sposta da Nord verso Sud. Fosse di prosciugamento, costruite al confine Nord delle Everglades, hanno diminuito il flusso d’acqua nell’intera zona. Il risultato è che molti stagni abitati dagli alligatori ed utili, anche, per contenere gli incendi nel parco, si sono prosciugati. Ed ora incendi devastanti si scatenano con maggiore frequenza nell’area del parco naturale. Piante e animali in aree densamente popolate, quali quelle della Florida e della California, sono minacciate da varie attività umane. E, sfortunatamente, queste non sono le uniche zone ove tutto ciò si verifica. I cambiamenti indotti dagli esseri umani nell’ambiente sono stati tragici per certi organismi. La Terra ha perso, in media, una specie di mammiferi ogni anno a partire dal 1900. Vi sono centinaia di piante ed animali, con volume di popolazione assai ridotto, che sono minacciati dalla estinzione, come le gru ed alcune rare specie di aro acquatico. L’estinzione è un processo naturale. Questo processo, tuttavia, è stato fortemente accelerato
dagli esseri umani; che hanno alterato interi ecosistemi. Ma, in fondo, che
differenza fa Forse l’estinzione più rapida nella storia della vita sulla Terra avverrà nei prossimi cinquant’anni, via via che le foreste tropicali saranno abbattute per ricavarne legname e spazio da destinare all’allevamento e alle coltivazioni: potrebbe scomparire circa la metà delle specie esistenti. La biodiversità è la nostra risorsa più preziosa anche se solitamente le diamo poca importanza. Quale sia il suo potenziale è dimostrato in maniera clamorosa nella specie Zea diploperennis, un parente selvatico del mais, scoperto negli anni ’70 da uno studente universitario messicano nello stato centroccidentale di Jalisco, a sud di Guadalajara. Si tratta di una specie nuova, che sembra resistente alle malattie, e comunque è unica tra tutte le forme di mais in quanto perenne. Se trasferiti nel mais comune, i suoi geni potrebbero farne salire la produzione mondiale in misura pari a milioni di dollari. C’è da aggiungere, però, che questo mais di Jalisco fu scoperto appena in tempo: relegato su un territorio montuoso di dieci ettari scarsi, solo pochi giorni lo separavano dal perire definitivamente, vittima del machete e del fuoco. E così possiamo ipotizzare che vi siano innumerevoli altre specie potenzialmente benefiche ancora ignote. I biologi conservazionisti hanno cercato di individuare le linee che demarcano le aree di pericolo, sorpassate le quali una specie va considerata molto più a rischio a causa della depressione da inincrocio. Parlando di salute genetica delle popolazioni fanno riferimento alla regola approssimativa del 50-500. Quando le dimensioni effettive di una popolazione sono inferiori a 50 individui e in essa sono presenti geni difettosi, la depressione da inincrocio diviene sufficientemente comune da determinare un rallentamento nella crescita della popolazione stessa. Quando invece la dimensione effettiva della popolazione è inferiore ai 500 individui, allora, è la deriva genetica (cioè la fluttuazione casuale delle percentuali dei vari geni) ad avere forza sufficiente per eliminare alcuni geni e ridurre la variabilità della popolazione nel suo complesso. E contemporaneamente la velocità alla quale avvengono le mutazioni non basta a compensare quella perdita di variabilità. Così, a poco a poco, la specie perde la sua capacità di adattarsi ai mutamenti ambientali. La depressione di inincrocio, dando un giro di vite a ogni generazione, abbrevia la longevità della specie e lo stesso risultato viene prodotto dalla riduzione del pool genico della popolazione che si verifica nel corso di molte generazioni. Come quantificare, allora, la perdita di biodiversità? “Nell’esigua minoranza di gruppi di piante e animali a noi ben noto, l’estinzione sta procedendo a grande velocità, cioè più in fretta di quanto accadesse prima della comparsa dell’uomo. In molti casi, il tasso è addirittura catastrofico, e a essere minacciato è addirittura l’intero gruppo”. Ma qual è, allora, la velocità della riduzione della biodiversità? A questa domanda possiamo provare a rispondere prendendo in considerazione il decadimento esponenziale. Secondo questo modello, le specie si estinguono indipendentemente l’una dall’altra. All’inizio vi sono molte specie destinate all’estinzione, che quindi spariscono a gran velocità; più avanti il ritmo di estinzione diminuisce. Se è vero che, prima che l’uomo cominciasse ad interferire nell’ambiente, le specie sopravvivevano per periodi nell’ordine del milione di anni, valore questo molto comune per alcuni gruppi che hanno lasciato documentazioni fossili, ciò significa che il normale tasso di estinzione “di fondo” è una specie all’anno per ogni milione di specie esistenti. L’attività umana ha fatto sì che, nella foresta pluviale, come conseguenza della sola riduzione di superficie, l’estinzione superasse questo livello da 1.000 a 10.000 volte. E’ chiaro, quindi, che ci troviamo nel bel mezzo di una delle più importanti ondate di estinzioni della storia geologica del pianeta. Ed ora, cosa accade a un ecosistema quando una specie si estingue? In molti casi, all’interno della stessa area vivono due o più specie ecologicamente simili e, quindi, ciascuna può andare ad occupare, in modo più o meno efficace, le nicchie di quelle estintesi. Inevitabilmente, però, si verificherebbe una diminuzione della flessibilità del sistema, l’efficienza della rete alimentare calerebbe, il flusso dei nutrienti si ridurrebbe, e, in ultimo si potrebbe scoprire che uno degli elementi rimossi era proprio una delle specie chiave. La sua estinzione potrebbe trascinare con sé altre specie, forse in modo così drastico da alterare la stessa struttura fisica dell’habitat.
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