Introduzione
Quando ci guardiamo intorno, la complessità del mondo ci disorienta
e ci affascina. Da sempre vedendo nascere uomini e animali ci si chiede
da dove veniamo e dove stiamo andando. I popoli antichi hanno risposto
a queste domande con racconti fantastici che spiegas-sero l’ordine
che appariva nell’Universo. I fenomeni naturali erano controllati
da spiriti con emozioni uma-ne che spesso agivano in modo capriccioso
e impreve-dibile e che risiedevano in oggetti naturali come fiumi,montagne,
la Luna, le stelle. L’origine delle cose e il loro cammino,
la loro evoluzione, sono sempre stati il filo conduttore che ha unito,
e unisce ancora oggi, ilmondo inanimato (dalle stelle alla Terra)
a quello degli esseri viventi. Per lungo tempo la concezione statica,fissa,
del mondo e la sua origine divina ( tutto è stato creato da
Dio ed è rimasto così com’era) ha confinato l’origine
e l’evoluzione in luoghi in cui la scienza non poteva entrare,
impedendo, ad esempio, al concetto di evoluzione dei viventi di imporsi.
Così è stato anche per l’Universo. Nessuno ha
mai suggerito che l’Uni-verso sia in espansione o in contrazione.
Le leggi della gravità, ad esempio, erano incompatibili con
la conce-zione che l’universo sia immutabile nel tempo: il fatto
che la gravità sia una forza sempre attrattiva implica infatti
che l’Universo debba espandersi o contrarsi. Tutti, però,
accettavano l’idea che l’Universo fosse da sempre esistito
in uno stato sempre uguale oppure fosse stato creato, in un tempo
finito in passato, più o meno come lo osserviamo oggi. Col
progredire delle conoscenze, grazie a strumenti sempre più
sofisticati,gli uomini hanno però scritto una nuova storia,
con“finale a sorpresa”, che ora... vado a raccontare.
L’universo è sempre esistito oppure ha avuto
un inizio?
Per molto tempo gli scienziati hanno ritenuto che questa domanda,
ricadendo al di fuori del loro campo di indagine, sconfinasse nell’ambito
metafisico di cui si occupano filosofi e teologi. Solo verso la
metà del nostro secolo fisici e astronomi hanno cominciato
a sviluppare tecniche sperimentali abbastanza sensibili da consentire
di affrontare questo problema sulla base di prove dirette e non
di visioni filosofiche e religiose. A dare inizio a questa rivoluzione
fu Albert Einstein che diede forma a una nuova teoria della gravitazione,La
teoria della Relatività Generale, ovvero a una nuova descrizione
dell’interazione tra corpi dotati di massa. Nel 1917 Einstein
pubblicò un articolo dal titolo “Considerazioni cosmologiche
della Teoria della Relatività Generale” che, in un
certo senso, fissò la data di nascita della cosmologia moderna.
Questa teoria, ormai ben verifi-cata e accettata da tutti, stabilisce
i rapporti tra massa,energia, spazio e tempo e si basa sull’idea
rivoluziona-ria che la gravità non è una forza come
tutte le altre, ma è una conseguenza della curvatura dello
spazio-tempo prodotta dalla distribuzione di masse ed energia in
esso contenute. Secondo Einstein, il nostro universo tridi-mensionale
non costituisce che una “sezione” di uno spazio-tempo
a quattro dimensioni, le cui proprietà geometriche sono non-euclidee,
cioè riflettono una curvatura che rende non rettilinee e
uniformi le traiet-torie di tutti i corpi (e dei fotoni di luce).
Questa curvatura dà quindi origine ai fenomeni che usualmen-te
sono descritti come effetto delle forze gravitazionali. Eistein
dimostrò che le equazioni della sua teoria potevano venir
soddisfatte da una distribuzione uni-forme (su larga scala) di materia
ed energia. L’applica-zione di tale teoria ai moti dei corpi
del sistema solare determinò solo minuscoli cambiamenti nella
descri-zione teorica delle orbite dei pianeti, cambiamenti che si
dimostrano utili per la conferma della validità della teoria
ma che non influenzarono tuttavia la visione fondamentale dell’evoluzione
del sistema planetario. Poiché l’idea di un universo
in espansione era total-mente inconciliabile con le teorie cosmologiche
ante-riori al ventesimo secolo e con le idee prevalenti della filosofia
occidentale, Einstein cerco di trovare una soluzione alle sue equazioni
che descrivesse un Uni-verso statico, ma non riuscendovi, modificò
la propria teoria della gravitazione, introducendo una forza fisica
supplementare che potesse bilanciare la forza di gravi-tà
a distanze estremamente grandi e potesse così impedire il
collasso dell’universo. Introdusse il termine di costante
cosmologica, con cui intendeva affermare l’esistenza di una
forza “antigravitazionale” repulsiva,legata alla struttura
dello spazio-tempo, capace d icontrobilanciare l’attrazione
gravitazionale in modo da rendere statico l’universo. Attraverso
la teoria non si era ancora provato che l’universo dovesse
espandersi.
Quando venne a conoscenza delle osservazioni di Hubble, Einstein
si rese conto di aver commesso un 43errore nell’introdurre
tale forza supplementare. Vari teorici applicarono ben presto la
teoria della gravitazione di Einstein all’universo nella sua
totalità. Sia il russoAlexander Friedmann (1922) che l’abate
belga Georges Lemaitre (1927) utilizzarono la teoria generale della
relatività di Einstein, per descrivere in che modo sarebbe
potuto evolvere un universo in espansione;essi riuscirono a dimostrare
che, ammessa la correttez-za delle equazioni di Einstein, era possibile
costruire un modello di universo senza bisogno della costante cosmologica
e senza che esso collassasse, a patto che l’universo fosse
in espansione (prevedendo ciò che fu poi trovato da Hubble).Proprio
nel decennio cruciale degli anni ‘20, mentre Friedman e Lamaitre
stavano indagando sulle conse-guenze cosmologiche delle equazioni
di Einstein, diversi astronomi americani erano intenti a misurare
gli spostamenti Doppler verso il rosso delle galassie, gli oggetti
che si sapeva essere i più distanti dell’universo.
I dati relativi alle galassie più distanti furono ottenuti
da Edwin Hubble e Milton Humason che utilizzarono il telescopio
di 2,54 m di Mount Wilson, il telescopio più grande del mondo
per quei tempi. Hubble e Humason, lavorando sulle galassie, cominciarono
adottenere gli spettri di questi oggetti e scoprirono, con grande
sorpresa, che tutte le galassie, eccettuate quelle più vicine,
presentavano uno spostamento Doppler verso il rosso ed erano quindi
in moto di allontanamen-to dalla Terra. Attraverso una serie dettagliata
di misure, Hubble e Humason furono in grado di dimo-strare che la
velocità di recessione, misurata dallo spostamento verso
il rosso, cresceva proporzional-mente al crescere della distanza
della galassia. Più era grande la distanza della galassia,
maggiore era la velo-cità alla quale si allontanava. L’espressione
matematica di questa relazione lineare tra la velocità di
recessione e la distanza è detta Legge di Hubble (1). La
legge di Hubble non si applica alle galassie vicine che fanno parte
dello stesso “Gruppo locale” della nostra Via Lattea
e hanno notevoli velocità individuali che si sovrappongono
a quelle dovute all’espansione genera-le dell’universo.
Per le galassie lontane, invece, la legge di Hubble fornisce un
metodo semplice per la misura della distanza. Dallo spettro della
galassia si misura lo spostamento verso il rosso e si deduce il
valore della velocità attraverso la formula dell’effetto
Doppler (2);sostituendo questo valore nella legge di Hubble si ottiene
facilmente il valore della distanza. La Legge di Hubble indica che
l’universo è in espansione, dato che tutte le galassie
sono in allontanamento dalla Terra. L’aumento della velocità
di recessione, all’aumentare della distanza, sembrerebbe indicare
che la Via lattea si trova al centro del moto di espansione, ma
questa semplice interpretazione non è affatto corretta.
Dato che l’intero universo si espande, la distanza tra una
qualsiasi coppia di galassie aumenta secondo la legge di Hubble.
Sotto questo aspetto, l’universo somiglia ad un gigantesco
reticolato cubico, simile a quelli che si trovano a volte nei parchi
giochi dei bambini, fatto però di tubi che al passare del
tempo si allungano sempre più; chi si trovasse in tale ipotetico
reticolato,vedrebbe tutto il resto della struttura, e tutti gli
oggetti in essa contenuti, allontanarsi man mano che il tempo passa.L’aver
riconosciuto che le galassie sono sistemi stellari dalle dimensioni
paragonabili alla nostra Via Lattea ha rinforzato la concezione
astronomica dell’assenza di qualsiasi particolare significato
attribuibile al nostro pianeta. Viviamo su uno dei 9 pianeti di
una tra le 10 11stelle che compongono la Via Lattea che, a sua volta,non
è altro che una delle circa 10 9 galassie visibili coni telescopi
moderni, il che significa che il Sole non è che una delle
10 20 stelle dell’universo osservabile. Una tale visione è
estremamente diversa da quella che si aveva solo 6 secoli fa, anteriormente
alla rivoluzione coper-nicana, quando si pensava che la Terra fosse
al centro dell’universo e che le stelle e i pianeti fossero
punti luminosi poco lontani, che si muovevano intorno allaTerra
per mettere alla prova l’intelligenza umana.
Hubble annunciò la scoperta dell’universo in espansione
nel 1929. Un anno dopo Arthur S. Eddington fornì il legame
cruciale tra osservazioni e teoria mo-strando che i modelli di universo
in espansione dovuti a Friedman e Lemaitre producevano una relazione
teorica tra spostamento verso il rosso e distanza che corrispondeva
esattamente alla legge di Hubble. Que-sta scoperta stabilì
la prima connessione diretta tra le due descrizioni, quella teorica
e quella di osservazione,dell’evoluzione dell’universo.
Con la possibilità di met-tere a confronto la teoria con
la realtà, la cosmologia stava finalmente diventando una
scienza vera e pro-pria. Negli anni ’40 e ’50 Gamow
e coll., e C. Hayashi svilupparono la teoria cosmologica di Lemaitre,
secon-do cui l’universo era originariamente contenuto in un
denso globo di materia chiamato superatomo o atomo(uovo) primordiale,
che esplose dando origine al mo-vimento che oggi è osservato
come espansione dell’universo descritta dalla legge di Hubble,
e studiarono gli eventi che avrebbero dovuto svilupparsi in tale
esplosione. Il fatto che l’universo sia in espansione comporta
che esso sia passato da una situazione di alta densità alla
attuale distribuzione estremamente spar-pagliata delle galassie.
Il cosmologo inglese Fred Hoy-le fu il primo a chiamare questo fenomeno
“big bang”(3). Con l’appellativo scherzoso di
“gran botto” egli intendeva in realtà mettere
in ridicolo la teoria, ma l’espressione finì per attecchire
perdendo la connota-zione negativa, benché sia un po’
fuorviante descrivere il fenomeno come una sorta di esplosione della
mate-ria, a partire da un certo punto dello spazio. In realtà
la situazione è del tutto diversa: nell’universo di
Einstein il concetto di spazio e quello di distribuzione della materia
sono legati e la recessione delle galassie non è che la manifestazione
del dispiegarsi dello spazio stesso. Una caratteristica fondamentale
della teoria è che la densità media dello spazio diminuisce
(ovun-que) al progredire dell’espansione; la distribuzione
della materia non possiede un confine osservabile.In una esplosione
le particelle più veloci avanzano in uno spazio vuoto e definiscono
una frontiera, ma nella cosmologia del big bang lo spazio è
uniformemente pieno di particelle. L’espansione dell’universo
ha avu-to scarsa influenza sulla dimensione delle galassie e persino
degli ammassi delle galassie, perché queste strutture sono
legate dalla gravità: è lo spazio tra di esse che
si sta aprendo progressivamente. In questo senso l’espansione
assomiglia alla lievitazione del dolce con le uvette: la pasta che
lievita è analoga allo spazio e i chicchi di uvetta sono
gli ammassi di galassie. All’espandersi della pasta le uvette
si allontanano le une dalle altre e la velocità di allontanamento
reciproco è direttamente legata alla quantità di pasta
che le separae cresce con l’aumentare di questa. Gamow, attraverso
questa teoria, voleva spiegare le abbondanze osservate nell’universo
dell’elio e degli altri elementi chimici: la sintesi dei nuclei
degli elementi chimici leggeri sarebbe avvenuta nei primi minuti
di questa “esplosione”,ancor prima che esistessero le
stelle, all’interno di un gas di neutroni incredibilmente
caldo e denso (4) e sisarebbe formata una miscela di H (circa il
75%) e di He (circa il 25%) con piccole quantità degli altri
elementi leggeri. Dopo qualche migliaio di anni si sarebbero formate
le prime condensazioni di materia da cui nacquero le prime galassie,
all’interno delle quali ebbe-ro origine le stelle. In altre
parole, l’ipotesi più proba-bile è quella secondo
cui gli elementi leggeri siano stati prodotti quando l’universo
era giovane e molto caldo e gli elementi pesanti abbiano avuto origine
più tardi nelle reazioni termonucleari che alimentano le
stelle.
Esiste un’altra teoria capace di spiegare l’espansione
e l’omogeneità dell’universo, quella dello stato
staziona-no proposta nel 1946 da Hoyle, Bondi e Gold. Secondo questa
teoria l’universo si espande per sempre e un acreazione spontanea
e progressiva di materia provvede a colmare i vuoti che l’espansione
crea. La materia così prodotta si aggregherebbe formando
nuove stelle che sostituirebbero via via quelle vecchie. Secondo
questaipotesi i gruppi di galassie vicini a noi dovrebbero apparire
in media simili a quelli molto lontani, per cui l’universo
avrà sempre lo stesso aspetto in ogni mo-mento e per ogni
osservatore. La cosmologia del big bang prevede, al contrario che,
poiché le galassie si sono formate tutte molto tempo fa,
quelle lontane devono sembrare più giovani di quelle vicine,
dato chela loro luce impiega più tempo per raggiungerci.Queste
galassie dovrebbero contenere più stelle dei tipia vita breve
e più gas dal quale si formerebbero nuove generazioni di
stelle. La verifica di queste previsioni45osservati. Questi corpi
celesti non hanno alcun corri-spondente attuale. Nel frattempo lo
spinoso problema della discordanza tra l’età dell’universo
e quella della Terra veniva risolto in maniera favorevole alla teoria
del big bang. Nel 1952 sulla scia di Walter Baade del Mount Wilson
Observatory, gli astronomi aumentarono di un fattore due la scala
delle distanze galattiche. Di conseguenza l’età stimata
dell’universo raddoppiò. Ulteriori ricerche la innalzarono
fino ad un valore minimo di 10 miliardi di anni, mentre l’età
della Terrarimaneva fissata a 4,5 miliardi di anni. Tuttavia molti
scienziati apprezzavano la semplicità della teoria dello
stato stazionario e continuavano a sostenerla, sottoli-neando che
essa non costringeva a fare assunzioni arbitrarie su un evento iniziale
o a preoccuparsi di ciò che potrebbe essere accaduto prima
del big bang. I fautori dello stato stazionario erano anche molto
inco-raggiati dal fallimento dei precedenti tentativi di con-futazione
del loro modello e quindi si mostravano diffidenti nei confronti
di nuovi attacchi. Ad un certo punto, però, anche Hoyle abbandonò
il suo modello originario e lo sostituì con un’ipotesi
più complicata e comunque non lasciò cadere quella
della creazione continua.
Il fatto nuovo che sbloccò la situazione fu la scoperta
della radiazione di fondo a microonde. E fu un problema di comunicazione
legato alle trasmissioni via satel-lite che portò alla scoperta
di questa radiazione. I Bell Laboratories avevano l’intento
di trasmettere la mag-giore quantità possibile di informazioni
alle frequenze delle microonde e a questo scopo era necessario indi-viduare
ed eliminare tutte le possibili sorgenti di rumore. Lo strumento
usato per la trasmissione, deri-vato dai sistemi radar militari
messi a punto dai Bell Labs durante la guerra, era un’antenna
a tromba costru-ita nel 1942 e successivamente modificata nel 1960.
Lo strumento (radiometro differenziale per microonde)che seguiva
i satelliti per telecomunicazioni Echo-1 e Telstar rilevava una
radiazione imprevista. Penzias e Wilson, nel 1964, trovarono la
spiegazione: lo stru-mento stava raccogliendo la radiazione cosmica
di fondo già prevista da Dicke e Peebles e precedente-mente
da Alpher e Herman nell’ambito della teoria del big bang.
La versione più semplice della teoria del big bang prevedeva
infatti che la radiazione proveniente dall’universo primordiale
descrivesse una curva spet-trale particolare, uno spettro di corpo
nero che si trovia circa 3 K (esattamente a 2,65 ± 0,09 K),
e che fosse un residuo di quell’istante in cui è avvenuto
il big bang,quando l’universo consisteva in un agglomerato
estre-mamente caldo di particelle cariche e radiazione. Tra-mite
l’osservatorio orbitante della NASA, il CosmicBackground Explorer
(COBE), i cui dati sono stati resi noti nel 1992, e diversi esperimenti
condotti da razzi e contrastanti è semplice da un punto di
vista concettua-le, ma sono occorse decine di anni per realizzare
rivelatori abbastanza sensibili da studiare in modo così
dettagliato le galassie lontane. Una conseguenza molto importante
della teoria dello stato stazionario è la continua creazione
di nuova materia nello spazio. Se le galassie devono allontanarsi
l’una dall’altra e se tutta-via l’universo deve
mantenersi nella stessa situazione,è necessario che vengano
create nuove galassie per prendere il posto delle vecchie che man
mano sene vanno. La creazione di materia viola la legge comune-mente
accettata secondo la quale nulla si crea e nulla si distrugge. La
creazione di nuova materia avverrebbe però secondo una scala
di tempi cosi lenta da non poter essere osservata in laboratorio;
ammettendo una crea-zione uniforme di materia in tutto l’universo
sarebbe sufficiente che in un anno fosse creato 1 g di materia entro
una sfera di diametro di 2,5 Unità Astronomiche(una unità
astronomica è pari alla distanza media Terra-Sole).Così,
anche se la creazione continua di materia viola la legge di conservazione
della massa, non sarebbe pos-sibile rendersene conto con esperienze
di laboratorio. Inoltre anche la teoria del big bang viola questo
principio creando tutta la materia in una sola volta,all’inizio
del tempo, lontano da ogni possibilità di studio scientifico.
Negli anni ‘50 e all’inizio degli anni ‘60 numerose
osservazioni astronomiche dimostrarono però che l’uni-verso
è cambiato nel tempo in modo significativo,Martin Ryle di
Cambrigde effettuò un conteggio delle radiosorgenti lontane
e di quelle vicine, sapendo che i segnali più distanti avevano
impiegato più tempo ad arrivare e quindi rispecchiavano una
fase più antica della storia dell’evoluzione dell’universo.
Ryle conclu-se che in passato il numero di radiosorgenti era inferio-re
all’attuale. Sebbene alcuni astronomi non ritenesse-ro decisive
le sue argomentazioni, ulteriori prove si ebbero con la scoperta
di quelle che sembravano le più antiche sorgenti di radiazioni:
i quasar. Il termine quasar (quasi stellar radio source) indica
oggetti celesti raramente osservabili nel campo ottico e che si
presentano puntiformi cioè quasi stellari. I quasar emettono
una quantità di energia paragonabile a quella di una galassia
e presentano un eccezionale spostamento verso il rosso delle righe
spettrali; quindi dovrebbero avere velocità di fuga elevatissime
e, per la legge di Hubble, sarebbero gli oggetti più lontani
che si conoscono nell’universo, distanti una decina di miliardi
di anni luce. Alcune loro caratteristiche (es.nucleo in fase esplosiva)
fanno supporre che i quasar siano galassie all’inizio della
loro evoluzione, in quanto essendo lontanissimi, si vedono com’erano
molti mi-liardi di anni fa. Tuttavia non è ancora stato possibile
inquadrarli in un “modello” che si adatti ai vari tipi46palloni
sonda e da terra, si sono compiuti studi estre-mamente particolareggiati
della radiazione di fondo e si è visto che essa possiede
due proprietà caratteristi-che. La radiazione cosmica di
fondo sembrava essere praticamente identica in tutte le direzioni
(isotropia). Per anni i cosmologi hanno cercato, senza successo,lievi
variazioni della radiazione che avrebbero costituito il seme della
formazione delle galassie e degli ammassi di galassie e i teorici
si vedevano costretti a escludere ogni minima fluttuazione della
densità ini-ziale contenuta nei loro modelli. I dati riportati
dal satellite mostrano invece piccolissime variazioni della debole
radiazione a microonde che pervade l’universo, dando così
forza alle prove a sostegno del big bang. In secondo luogo, la teoria
predice che la radiazione fossile del big bang dovrebbe avere uno
spettro di corpo nero: questo è effettivamente lo spettro
mostra-to dalla radiazione di fondo (molto simile a quello di un
corpo in equilibrio termico con la radiazione a 2,726 K)rilevata
dal COBE.
La lieve anisotropia spaziale e la forma dello spettro della radiazione
di fondo sono sufficienti a identificar-la quale risultato dell’esplosione
primordiale. Natural-mente quando questa radiazione fu prodotta,
l’univer-so era molto più caldo, ma alcuni ricercatori
avevano giustamente anticipato che la sua attuale temperatura dovesse
essere molto bassa, proprio a causa dell’espan-sione dell’universo.La
radiazione cosmica di fondo fornisce un’indicazione diretta
del fatto che l’universo cominciò a espandersi a partire
da uno stato di densità e temperatura elevatissime, perché
sono proprio queste le condizioni necessarie a produrre una simile
radiazione. Fu, quindi, questa scoperta che consolidò la
teoria del big bang e contemporaneamente fu la svolta decisiva che
trasformò la cosmologia in una scienza sperimentale.
Barbara Scapellato
Note
(1) v = Hd, dove v è la velocità misurata in km/sec
d è la distanza misurata in megaparsec, H è la costante
di recessione, il cui valore è compreso tra 60 e 90 Km/sec
per Mpc.
(2) ?’ = ??* (v ± w)/(v ± V)
?’ = frequenza osservata; ??= frequenza emessa; v velocità
di propagazione delle onde; W velocità dell’osservatore;
V = velocità della sorgente.
(3) La teoria classica del big-bang è nota anche come teoria
????????dalle iniziali dei fisici R. A. Alpher, H. A. Bethe e G.
Gamow che la esposero in un articolo, divenuto famoso,
pubblicato nel 1948.
(4) Alpher chiamò questa sostanza ipotizzata da Gamow “Ylem”
da un termime greco che significa materia primordiale.
Bibliografia
C. S. Powell L’età d’oro della cosmologia LE
SCIENZE n. 289 ’92 Peebles, Schramm, Turner, Kron L’evoluzione
dell’universo Le Scienze n. 316 ‘94
C. J. Hogan L’idrogeno primordiale e il big-bang LE SCIENZE
n. 342 ‘97
C. Böhm Bagliori sulla materia oscura L’ASTRONOMIA n.
174 ‘97
H. L. Shipman Introduzione all’Astronomia Zanichelli, 1988
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