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| CONSIDERAZIONI GIURIDICHE SUL SAGGIO DI A. LOTIERZO | Alfonso Reccia | | | |
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La lettura del libro di Antonio Lotierzo su "Statuti, bagliva e conti comunali in Basilicata" (Napoli, 1999) induce ad una serie di riflessioni di natura giuridica. Risalta il dato della commissione dei "diritti". Il tenore letterale delle norme rivela l’intrecciarsi fra quelle del diritto romano e quelle del diritto longobardico, consolidatesi anche al Sud. Ad es., nell’art. 46, "Delli porci domestici", si nota che il proprietario del fondo è autorizzato anche ad uccidere il maiale che procurasse gravi danni in un suo orto o terreno chiuso e coltivato. Perché tanto rigore? È evidente che la mancanza di resa e di frutto da un terreno poteva ingenerare un grave rischio di sopravvivenza per un’intera famiglia. Altro concetto giuridico fondamentale era lo stabilire il danno dato e come procedere all’emenda del danno e, infatti, gli Statuti sono molto minuziosi nel delineare quali forme procedurali portassero alla restaurazione del patrimonio danneggiato (art. 15,40,50,58). E ancora: l’art. 34 regola il rapporto fra ufficiali e bando. "Delli ufficiali li quali non poneno li Banni" e stabilisce come risolvere il contrasto fra l’emissione di un bando, ad es., del feudatario e quello emesso dall’università, la quale voleva tutelarsi e non accettava imposizioni altrui, specie per le norme attinenti il prelievo fiscale. Il nocciolo della polemica fra Università, Re, Vescovo e Governatori si può racchiudere nella domanda: chi ha il diritto di dire ed imporre il diritto in una società? Questo interrogativo apre la discussione sul problema del potere in una comunità. Ha scritto M. Foucault: "Il potere non è una potenza luminosa di cui certuni sarebbero dotati: È il nome che si attribuisce ad una situazione strategica complessa in una società" (Storia della sessualità, I, p. 130, Milano, 1986). Nella lotta per il potere (ad es. determinare tributi o di gestire la giustizia) si inserivano gli avvocati, trovava spazio il ceto forense come gruppo professionale. Il ruolo degli avvocati, illustrato negli studi di Raffaele Ajello con dovizia di documentazione, si strutturava nei continui litigi che insorgevano fra feudatari e Universitas; fra sistema di tassazione e ceti contribuenti; fra beni che andavano esclusi dal sistema di tassazione e beni che bisognava tassare ma dopo aver stabilito l’esatto valore di rendita. In certo senso gli avvocati esprimevano una contestazione non violenta. Il ceto forense permetteva l’incanalamento pacifico delle contesta- zioni e rimostranze, attraverso allegazioni e processi. Si evitava che le rivendicazioni della società rurale prendessero la forma della lotta armata o del non meno pericoloso sciopero fiscale, con inadempienza contributiva. Tanto è vero che tutti i ceti si rivolgevano agli avvocati (il feudatario per rivendicare antichi privilegi o per far valere vecchie carte di possesso; le università per difendere il loro patrimonio e le eventuali esenzioni; il Re per ristabilire le proprie imposizioni attraverso i collegi centrali). E gli avvocati difendono le cause dei clienti nelle Regie Udienze o nei Tribunali Regi, provinciali o napoletani. Il testo di A. Lotierzo evidenzia come a Marsico, nel 1738, si pagavano al procuratore Domenico Potenza (pag. 102) diciannove ducati; ma nel 1729 si pagarono all’avv. Nicola Ambrisi di Polla 24 ducati ed a Cono Macchiarulo di Teggiano altri venti ducati (pag. 97) ed altri venti a Francesco Anzani (parente del vescovo), tutti per spese per assistere le liti dell’Università in Napoli. Se falliva la intermediazione dell’avvocato nell’ottenimento dei diritti pretesi, si apriva uno stato di crisi, una "situazione prerivoluzionaria", che il potere temeva e cercava di contenere. Per fortuna i ceti erano divisi fra di loro; le plebi erano strumentalizzabili; la borghesia guardava verso la nobiltà come modi di vivere. In un certo senso, gli avvocati potevano servire ad evitare un tumulto dei Ciompi o la rivolta di Masaniello. Ma, probabilmente, va sottolineata anche la funzione e vocazione reazionaria dell’avvocatura. L’importanza degli studi storici, come questo di Lotierzo, consiste nel colmare lo iato fra norma scritta e ricostruzione della vera dinamica storica. Infatti, leggendo fra le righe abbiamo, per via deduttiva, la risposta al quesito: come venivano applicati o disapplicati gli Statuti nel quotidiano? Tutti gli baglivi erano persone per bene o facevano valere anche interessi ed ideologie proprie? Aggiungo una velocissima considerazione di natura storica. La società meridionale appare, ancora oggi, una società senza Stato. Una sovranità statuale, appartenuta per secoli a dominatori stranieri ed un ordinamento feudale, con una sua impalcatura fondata sulla contrapposizione plebe-principi determina che il potere è costantemente legittimato dall’esterno. Lo Stato, in tale maniera, consiste nella formale impalcatura imposta dallo straniero. È ovvio che esso fosse considerato se non un’entità nemica, per lo meno una entità fittizia. I dominatori cercarono se non il consenso per lo meno la sopportazione dei dominati. A sua volta, il ceto politico marsicano, come di qualsiasi altra comunità, sembra più o meno disposto alla lealtà, a seconda che i dominatori fossero più o meno disposti a concedere protezioni e privilegi ai loro interessi locali. | | | | | | |
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