Questo articolo, di Luisa Kustermann, è stato pubblicato sul numero 56 della rivista dell’ANISN “LE SCIENZE NATURALI NELLA SCUOLA”.
Nel luglio 2012 ho trascorso sei giorni speciali sulle Dolomiti Occidentali. Con diverse colleghe dell’ANISN del Lazio e con la guida del prof. Maurizio Parotto e del prof. Roberto Mazza, ed il fondamentale supporto alla preparazione delle lezioni in video di Silvana Mora, abbiamo potuto ricostruire la storia geologica della nascita e dell’evoluzione fino ad oggi di queste straordinarie montagne.
Nel nostro viaggiare su e giù tra cime e valli abbiamo sperimentato un modo diverso di vedere e di osservare, con una attenzione particolare alla forma del paesaggio che rappresenta la prima chiave di lettura per sostituire ad una conoscenza superficiale e frammentaria di un territorio, molto frequentato soprattutto per soggiorni di vacanza, una comprensione più organica degli eventi geologici succedutisi nel tempo, che sono anche una parte importante della Storia della Terra. Per questo oggi le Dolomiti sono riconosciute dall’Unesco “Patrimonio dell’Umanità”.
E’ qui infatti che si trovano le testimonianze più antiche, a partire dall’era Paleozoica, tra i 500 e i 300 Ma fino ad oggi. E’ qui che le rocce consentono la ricostruzione degli eventi che le hanno formate; e’ qui, 251 Ma fa, tra il Permiano superiore e il Triassico, che i fossili danno una continua testimonianza della più grande estinzione dei viventi (fino al 90 %) e di una nuova ripresa della vita; è qui che le Dolomiti conservano scogliere, scarpate e atolli fossili a testimonianza della loro origine di isole in un mare tropicale; è qui che le imponenti eruzioni vulcaniche hanno consentito all’inizio dell’800 di superare teorie più antiquate sull’origine della Terra; è qui che parte della storia della Terra, dalla Pangea ad oggi, si vede,si tocca, si comprende. Il tutto in quello scenario splendido di vegetazione, colori, cime ardite e imponenti, di ombre e luci, di torrenti, sorgenti, sentieri e silenzi che rappresentano il fascino ineguagliabile di questi luoghi.
Al termine dell’esperienza, le foto ed i campioni raccolti sono stati oggetto di una ricostruzione presentata ai colleghi nella sede dell’ANISN di Roma attraverso un CD, con l’illustrazione dei diversi itinerari sulle Dolomiti nei vari giorni del nostro viaggio. Vorrei presentare una essenziale testimonianza di quanto abbiamo visto e vissuto, lasciando, a chi fosse più interessato, di richiedere copia del CD alla direzione dell’ANISN del Lazio.
Il criterio seguito in questa difficile sintesi di una esperienza lunga sei giorni è stato:
- Un itinerario facilmente riconoscibile.
- La scelta di alcune foto prese durante i nostri spostamenti e di disegni che fossero particolarmente significativi.
- L’interpretazione di quanto osservato attraverso la ricostruzione degli eventi accaduti nel tempo.
La lettura quotidiana dei nostri vari percorsi è avvenuta con la guida dei nostri Proff ed un riferimento costante: la colonna stratigrafica delle Dolomiti occidentali che, nelle nostre escursioni quotidiane, si è via via srotolata sotto i nostri occhi a partire dalle testimonianze più antiche.
Colonna stratigrafica
Le testimonianze più antiche nella Pangea
Un itinerario ampiamente esplorato è il percorso che da Fiera di Primiero, nostro punto di partenza, sale lungo il Torrente Cimon verso S. Martino di Castrozza, il Passo Rolle e il Monte Tognola.
Primo itinerario
Ed è al rifugio sul Monte Tognola (2405 m) che troviamo le rocce più antiche, di 300Ma che formano dei rilievi tondeggianti. Sono le filladi, rocce metamorfiche che si presentano come scisti di colore verdastro, plastiche e facilmente alterabili (foto 1).
Foto 1
Il panorama di fronte a noi è splendido: il Cimon della Pala, la Rosetta, la Pala di S. Martino, Sass Maor, (tempo permettendo!). Lungo la via del ritorno, abbiamo incontrato paesaggi diversi: oltre alle filladi, visibili in più punti, si trovano alcuni domi granitici. In prossimità del Passo Rolle troviamo altre rocce completamente diverse: sono grandi spessori di porfido quarzifero di origine effusiva, come si vede nella foto 2. Queste alte pareti di porfido sono usate dai Vigili del fuoco per le loro esercitazioni.
Foto 2
Siamo in grado ora di ricostruire una prima parte degli eventi accaduti in questa area con l’aiuto dei disegni e delle spiegazioni del Prof Parotto e comprendere la prima parte della colonna stratigrafica.
Dopo il cambriano le terre emerse si uniscono formando la Pangea (disegno 1 e 2)
Le filladi sono rocce metamorfiche formate ad una profondità di 4-5 km e ad una temperatura di 400°-500° e sono testimonianza del basamento metamorfico delle Dolomiti, risalente all’era paleozoica dell’antica Pangea (300 Ma circa). Dal basamento emergono domi di granito, per la presenza di filoni di materiale vulcanico di origine intrusiva, che con l’erosione delle filladi sono visibili in più punti, come accade lungo il torrente Vanoi (vedi itinerario 1), che scorre avendo a destra il granito e a sinistra le filladi.
Gli eventi successivi si comprendono osservando il disegno 3: all’inizio dell’apertura dell’Oceano Tetide, con la distensione crostale della Pangea, inizia un vulcanismo molto attivo che lascia in un’area di 2000 km2 notevoli spessori di porfido quarzifero, come quello già visto nella Foto 2, che raggiungono anche i 2000 m di altezza, come accade nella caldera di Bolzano. Possiamo cominciare a comprendere ora la prima parte della colonna stratigrafica, a partire dal basamento Paleozoico e procedere nell’osservazione.
Su questi materiali in tutto il percorso tra il passo Rolle, S. Martino di Castrozza e Fiera di Primiero abbiamo potuto osservare sulle montagne intorno a noi, paesaggi più dolci per la presenza di notevoli spessori di sedimenti alluvionali di colore rosso, dette Arenarie della Val Gardena (AVG) (Foto 3).
Foto 3
Le testimonianze finora osservate sono alla base di molti rilievi dolomitici. Cerchiamo di interpretare quanto abbiamo osservato (disegno 4)
Al termine dell’attività vulcanica riprende l’erosione per la presenza dei corsi d’acqua che demoliscono i rilievi vulcanici e formano vaste aree pianeggianti prossime al mare. Siamo nel Permiano, tra i 270-260 Ma, in un clima arido e desertico ad una latitudine tra il Tropico e l’equatore. I numerosi detriti alluvionali formano le Arenarie della Val Gardena di color rosso con presenza di fossili.
Una prima parte della nostra colonna stratigrafica ideale di pag.2 è stata ricostruita.
Ho pensato ad un mezzo didattico che consentisse un facile montaggio e smontaggio degli elementi essenziali di questa colonna in una forma semplificata, ricostruendola con la sovrapposizione di strati di blocchetti di “lego” (principalmente quelli più grossi usati dai bambini più piccoli) che, con i loro colori diversi, presentano il vantaggio di rappresentare sia campioni diversi di rocce, sia il loro significato come testimoni nel tempo di una storia lunga e complessa.
Mi è sembrato questo uno strumento agile, per rendere più facile la ricomposizione delle tappe fondamentali della nascita e della crescita delle Dolomiti, a chi volesse proporla ai propri studenti. Se si ha l’occasione di andare sul posto si possono affiancare ai campioni di roccia via via raccolti, i pezzi di lego che li rappresentano e le foto dei luoghi da cui provengono i campioni, per una ricostruzione cronologica della colonna stratigrafica, mentre da lontano la si può proporre come simulazione. Una esperienza anche parziale può essere comunque interessante. Questa prima parte della nostra ricostruzione con i “lego”è riportata nella Foto 4, dove il basamento è rosso, le filladi sono gialle e verdi, i porfidi quarziferi sono rossi e il pongo rosso rappresenta i filoni di materiale vulcanico, emersi come domi granitici.
Foto 4
Continua la storia: protagonista assoluto il mare
I nostri percorsi di esplorazione proseguono: siamo ancora in prossimità del Passo Rolle dove, in una cava possiamo osservare sulle AVG spessori di calcari scuri e di gessi che si presentano ondulati, come si vede nella Foto 5.
Foto 5
Queste formazioni indicano la presenza di un mare poco profondo che lascia sedimenti di diverso tipo.
E’ sempre con l’aiuto dei disegni del Prof. Parotto (disegno 5) che possiamo comprendere meglio quanto è accaduto: l’antico continente comincia ad essere invaso dal mare da Est, tra i 260-255 Ma.
Si formano lagune con fondali più o meno bassi, con forte evaporazione e si depositano grandi quantità di minerali, principalmente di gesso, che ricoprono le AVG. Il mare, in un clima caldo e ricco di vita, continua ad avanzare e sui gessi si depositano calcari e materiali organici come alghe, spugne, coralli, che si ritrovano come resti fossili e formano i calcari neri a Bellerophon, (fossile di nautilus che precede la comparsa delle ammoniti). Questi materiali sono plastici e appaiono ondulati per effetto dei fenomeni di sollevamento e compressione dovuti ad una spinta da Sud verso Nord. (Lungo il percorso stradale si trovano utili cartelli esplicativi).
Se ora si osserva il paesaggio intorno a noi, queste formazioni ondulate di gessi e calcari neri, si vedono bene alla base di molte montagne, e sono sovrastate da grandi spessori di strati più regolari. Il mare quindi continua a lasciare tracce degli eventi che si sono succeduti nel tempo, con i suoi sedimenti.
Possiamo osservare queste formazioni nella immagine successiva (foto 6)
Questo lungo periodo che inizia alla fine del Permiano (252 Ma) è la testimonianza di un golfo ad Est che si approfondisce (disegno 6) mentre il mare avanza e si ritira più volte per effetto di fenomeni di subsidenza.
Sugli strati dei gessi e calcari a Bellerophon si accumulano strati regolari, ben visibili nella loro alternanza di colori diversi, ricchi di calcari, arenarie, argille, dolomie e fossili marini fino a 245 Ma, durante l’era mesozoica. Questa successione prende il nome di Werfen.
La corrispondente ricostruzione con il lego è nella (foto 7), dove il bianco rappresenta i gessi, il nero i calcari a Bellerophon e il verde gli spessori dei depositi calcarei del Werfen.
Secondo itinerario
Continua la nostra esplorazione guidata per un lungo giro. Aggiriamo il gruppo delle Pale di S.Martino, osservate finora, per andare dal lato opposto, alle Dolomiti di Ortisei, seguendo il secondo itinerario: da Fiera di Primiero, S. Martino, Predazzo, Moena, bivio di Canazei, Ortisei, fino alla funivia del monte Seceda.
La vista del Monte Seceda di fronte a noi e delle Odle dietro, riportata nella Foto 8 mette bene in evidenza le formazioni che abbiamo già osservato dall’altro lato delle Dolomiti, dalle AVG fino alla lunga formazione di Werfen a cui dobbiamo aggiungerne altre, sempre di sedimenti marini.
Foto 8
Sono strati compatti e di colore più uniforme di calcari e dolomie, della formazione detta di Contrin, diffusa in molte altre cime dolomitiche come il Cimon della Pala e la cima della Rosetta, ed è dovuta ad una tettonica distensiva. A questa seguono sottili strati di materiale argilloso, formatisi in un mare più profondo, detti di Livinallongo. Continua la storia delle Dolomiti, non più con l’accumulo di sedimenti regolari, sul fondo di un mare più o meno profondo, ma con la costruzione di scogliere e scarpate, di calcari e dolomie e di piattaforme in un mare costiero, dove possono proliferare coralli, alghe, spugne ed altro. E qui abbiamo occasione di mettere a confronto almeno due tipologie diverse di sviluppo delle sommità delle Dolomiti: cime aguzze e fianchi ripidi, come le Odle, o forme tozze e larghe come il Sella, che sono il risultato di un modo diverso di crescere, secondo le variazioni del livello del mare durante fasi tettoniche diverse. Saliamo ora sulla cima del Monte Seceda e possiamo osservarle entrambe: siamo sulla piattaforma di una antica laguna e di fronte a noi dominano le Odle a sinistra e di fronte il Sella.
Foto 9
La storia delle Odle (Foto 9) Inizia nell’era Mesozoica, ed è il risultato di una competizione tra una rapida crescita delle scogliere coralline (aggradazione), in un ambiente caldo e ricco di vita, e l’emersione delle scogliere stesse, in un mare che avanza e si ritira in un susseguirsi di ingressioni marine e subsidenze, di emersione ed erosione, sollevamento, e deposizione di abbondanti calcari e dolomie. I fianchi così inclinati corrispondono alle scarpate sottomarine che scendono verso il mare più profondo. Questo in un lungo periodo che va dai 250 ai 235 Ma.
L’altra forma è quella del Sella. (Foto 10)
Foto 10
Qui la competizione con il mare ha avuto una storia diversa. La formazione di Contrin si rompe in più punti, alcune parti emergono e subiscono l’erosione. Inizia una lunga subsidenza e le zone a pelo dell’acqua vedono la crescita di coralli, alghe e grandi quantità di carbonato di calcio, fino a quando la subsidenza diminuisce e la scogliera si espande lateralmente (progradazione) secondo linee di andamento della crescita dette clinostratificazioni, determinando la caratteristica forma a “panettone” del Sella, del Sasso Lungo e del Sasso Piatto. Si forma la dolomia dello Sciliar, ambiente di scogliera e di scarpata esterna e di una grande piattaforma carbonatica interna: questa fase è detta Ladinica. (Foto 11)
Foto 11
Tutto questo è riscontrabile nella colonna stratigrafica di pag. 2 con i nomi delle rispettive fasi e si può riprodurre anche con i “lego” aggiungendo altri strati a quelli precedenti, come nella Foto 12 dove sul verde più chiaro del Werfen, quello più scuro indica il Contrin, mentre il verde pistacchio è il Livinallongo e l’azzurro la dolomia dello Sciliar del periodo Ladinico.
Foto 12
Ed è durante il Trassico, da 240 Ma che il progressivo abbassamento del mare, fino a 1000 m, è compensato dalla rapida crescita di scogliere e scarpate esterne, mentre la disomogeneità dei fondali favorisce la formazione di quell’arcipelago di isole, atolli e lagune dove proliferano gli organismi marini in un clima tropicale, circondati da un mare profondo, che costituisce la base delle attuali Montagne-Isole.
Nuovo protagonista il vulcanismo
Con le vulcaniti, che sono le ultime a comparire come si vede già nello schema della foto 11, si apre un nuovo capitolo della nostra storia: inizia una intensa attività vulcanica con la produzione di rocce intrusive come il granito ed effusive, come pllow-lava, basalti e tufi che ricoprono le formazioni precedenti in vaste aree. Infatti l’apertura dell’Oceano Tetide continua, e il magma in parte solidifica all’interno della Terra e in parte, come filoni, risale fino alla superficie. Ed è proprio a Predazzo, poco prima dell’ingresso del paese, in un’area di sosta, che possiamo osservare grandi spessori di granito, riemerso dopo l’erosione degli strati superiori, e che, nei punti di contatto con il calcare, lo ha metamorfosato in marmo (Foto 13).
Foto 13
In altre zone, come nelle pale di S. Martino, sono i filoni basaltici che, per il loro colore scuro, si distinguono bene quando attraversano le Arenarie della Val Gardena e il Werfen, ad aver trasformato il calcare in marmo,come si vede al passo Rolle.
Foto 13 bis
Tra i tanti esempi di questa intensa e lunga attività vulcanica posiamo ricordare i basalti colonnari del Lago di Carezza.
Una attenzione particolare meritano le osservazioni e gli studi fatti nel 1820 dal Conte Pencati, un appassionato conoscitore della geologia di questi luoghi, su questi filoni di marmo cotti dal granito, scoperti a Canzuccoli, vicino a Predazzo per dimostrare la presenza di un vulcanismo successivo alla lunga fase di depositi marini. Siamo in un periodo di acceso confronto scientifico tra teorie diverse della storia della Terra, quando la teoria più accreditata era quella del Nettunismo, secondo cui da un oceano primordiale si sono formati, in una rigida successione di eventi,il granito, gli scisti, i basalti e infine i calcari di origine marina. Le ricerche del Conte Pencati furono determinanti per dare credito alla teoria del Plutonismo, per cui i graniti erano dovuti alla solidificazione di masse fuse provenienti dall’interno della Terra, in epoche diverse. Il calcare metamorfosato in marmo è chiamato predazzite, mentre il granito è chiamato monzonite. Le testimonianze di questa interessante storia si trovano nel Museo Geologico di Predazzo.
La sequenza è visibile nella fig.2 della colonna stratigrafica e nella nostra rappresentazione con il lego, dove è evidente il lungo filone vulcanico in pongo e il lego rosso che ricopre le formazioni precedenti (Foto 14).
Foto 14
Circa 230 Ma fa, nella fase finale del vulcanismo, mentre inizia lo smantellamento dei vulcani, più facilmente erodibili del calcare, i nuovi movimenti tettonici provocano l’emersione e la frammentazione di diversi blocchi di scogliera e delle piattaforme carbonatiche ladiniche. Si determinano le condizioni adatte alla crescita di nuove scogliere e di nuove piattaforme. Questo periodo è caratterizzato da scarsa subsidenza, modesta crescita in altezza e forte progradazione a differenza (degli eventi geologici succedutisi nel tempo) del periodo ladinico precedente. Il Sella, Sasso Lungo, Sasso Piatto, le Pale di S. Martino sono cresciute in questo modo. Si forma la dolomia di S. Cassiano del periodo Carnico: questa dolomia contiene spesso grosse brecce derivanti dallo smantellamento delle scogliere precedenti.
La fine delle isole coralline e la nascita delle Montagne-Isole: le Dolomiti
Da isole coralline a montagne del centro Europa Da Isole a Montagne
Intorno a 228 Ma, mentre l’apertura dell’Oceano Tetide prosegue, e le maree entrano nei fiumi, l’erosione continua e le zone di mare che circondano le scogliere si ricoprono di calcari e fanghi calcarei in grandi quantità, anche per spessori di centinaia di metri: le condizioni di vita diventano più difficili e gli organismi marini via via scompaiono per la scarsità di ossigeno. Si forma una vasta pianura fangosa abitata dai primi dinosauri le cui impronte si riconoscono sulle rocce dolomitiche. Si forma una nuova dolomia, detta Dolomia Principale, del periodo Norico. Lentamente tutta la regione sprofonda nel mare, anche per migliaia di metri e le isole coralline scompaiono. Il Colle della Campanella, su cui troviamo foraminiferi e ammoniti, è testimone della presenza di un mare profondo. Siamo alla fine del Triassico: la storia della crescita delle Dolomiti Occidentali, intorno alle quali è ruotata la nostra esplorazione durata sei giorni, termina qui, quando le future montagne completano la loro crescita con la dolomia principale.
Abbiamo cercato di interpretare le parti principali della nostra colonna stratigrafica di Pag.2 ed anche la sua ricostruzione con i lego è completa con la dolomia di S. Cassiano di colore arancione, le scogliere carniche beige e la dolomia principale rappresentata in modo simbolico dalle cime verdi appuntite (Foto 15).
Foto 15
Nella gola di Bletterbach vicino a Bolzano, si può ripercorrere in un unico spazio, la sequenza geologica dai porfifìdi quarziferi fino alla formazione di Werfen con una escursione geologica piuttosto impegnativa, e visitare il Geoparco di Aldino e Redagno ricco di filmati e cartelloni esplicativi e proposte didattiche.
Le Montagne – Isole: le forme del paesaggio oggi
Dobbiamo attendere la fine del Cretacico, 65 milioni di anni fa, quando l’Oceano Tetide inizia a chiudersi per la spinta della placca Africana contro quella Europea, perché le antiche isole, ora Dolomiti, lentamente riemergano dal mare fino alle altezze attuali con la straordinaria particolarità di lasciare inalterate le sequenze dei depositi originari. La spinta verso Nord e una lenta deformazione tettonica le fa scivolare verso sud e montare sulle Vette Feltrine secondo la linea della Val Sugana. La loro storia continua ad Est verso Belluno con le Vette Feltrine, e poi con gli Appennini.
Siamo arrivati ad oggi, nella fase finale di questo ciclo geologico. Inizia ora la fase che è tuttora in atto: la costante e lenta demolizione di queste montagne, cioè la gliptogenesi, come nel Sella, le cui pareti sono verticali perché scalzate alla base dalla erosione delle rocce più tenere con effetti di reggipoggio e franapoggio (foto 9). Anche nelle Odle i vari strati sono da un lato più resistenti che dall’altro con evidenti tempi di erosione diversi (foto 7). Abbiamo visto massi caduti, canaloni di detriti, conoidi di deiezione. L’acqua dei torrenti che ha scavato vecchie valli glaciali a forma di U in valli a V. Il Torrente del Travignolo ha scavato tanto il terreno che oggi scorre negli antichi porfidi.
L’esempio più imponente che mette a confronto la storia antica delle Dolomiti e l’attuale fase di demolizione di questi monti lo abbiamo trovato sulla cima della Rosetta, dove a 3000 m di altezza ci siamo trovati in una vasta piana calcarea, residuo di una vecchia laguna, che in superficie presenta notevoli fenomeni di erosione dovuti al carsismo, come le doline, gli inghiottitoi e campi d’anime di calcare disfatto. Mentre lateralmente si riconosce l’ antica scogliera con tracce di fossili, e la vecchia scarpata esterna. L’ultima foto mostra un particolare della laguna della Rosetta. (Vedi Foto 16)
Foto 16
Abbiamo visto e imparato a “leggere” le forme del territorio intorno a noi in modo diverso, abbiamo posto domande e cercato risposte. Questi monti, che sono ammirati per la loro bellezza, e molto frequentati per la possibilità di un rapporto speciale con la natura, portano con sé anche il carico di una parte importante della Storia della Terra, affascinante e complessa, tanto da essere riconosciuti patrimonio dell’Unesco, e da godere perciò di una tutela speciale. Si percepisce la cura e l’attenzione per il territorio anche attraverso le numerose iniziative di tipo naturalistico e didattico che si incontrano, come ad esempio quelle del Parco Naturale di Paneveggio che abbiamo visitato lungo il nostro percorso, o la possibilità di visitare piccoli musei, e reperire diverse pubblicazioni.
Bisogna però riconoscere i segni di un altro fattore di distruzione che è l’uomo per maturare un maggiore rispetto per un territorio che dimostra anche una grande fragilità.
Foto 17
In questa foto ( con il Prof. Parotto e la sottoscritta) è visibile, in modo parziale, un momento della presentazione fatta ai colleghi dell’ANISN a Roma.
Per chiarire meglio l’uso didattico di questa esperienza, la colonna di lego che ho proposto è stata accompagnata nella presentazione dai campioni di roccia delle varie formazioni raccolti durante le escursioni, ciascuno affiancato dal pezzo di “lego” che lo rappresenta e collegati entrambi con un filo ben visibile,ai cartelloni con le foto dove quelle formazioni sono presenti, e con le spiegazioni di base. Un esempio è la Foto 18.
Le Montagne- Isole
Bibliografia
- “Viaggio nei Monti Pallidi” Guida all’escursione a cura di Maurizio Parotto, Silvana Mora, Roberto Mazza ANISN sez Lazio 4-10 luglio 2012
- Fabrizio Bizzarini “Guida alla geologia del Parco” Parco Naturale Paneveggio Pale di S.Martino Quaderni del Parco n. 9
- “Dolomiti” Patrimonio mondiale Unesco Provincia di Belluno Tipografia Alcione -Aprile 2010
- Atti del convegno “Dolomiti. Paesaggio e vivibilità in un bene Unesco” Materiali di lavoro (Trentino School of Management) a cura di Gabriella De Fino e Ugo Morelli info@tsm.tn.it, http://www.tsm.tn.it
- B. Accordi – E. Lupia Palmieri – M.Parotto “ Il globo terrestre e la sua evoluzione” Zanichelli ed. Quarta edizione -marzo 1993
- E.J. Tarbuck – F.K.Lutgens – M.Parotto “Scienze della Terra” Principato Editore marzo 1987
- Alfonso Bosellini “Le Scienze della Terra” Italo Bovolenta Editore gennaio 1985
- Riccardo Tomasoni – Matteo Visintainer “Geological Landscape” Paesaggio geologico Trentino- Curcu% Genovese Editore Aprile 2012
Luisa Kustermann – Note biografiche
Già docente di Scienze Naturali nella scuola secondaria di secondo grado di Roma, ha partecipato ad attività di ricerca ed innovazione su temi riguardanti la programmazione e la valutazione in collaborazione con l’Università “La Sapienza ” di Roma. Dal 1983 a 1986 è stata utilizzata presso il Laboratorio di Didattica delle Scienze (LDS) dell’Università “La Sapienza” di Roma nella sezione di Scienze della Terra e Astronomia, svolgendo un ruolo di ricerca nella didattica delle discipline suddette, in particolare con la facoltà di Geologia di Roma-3, con la Protezione Civile e con L’IRRSAE del Lazio per iniziative di aggiornamento nel settore della prevenzione delle calamità naturali e della didattica dell’ Astronomia. Ha organizzato negli anni diverse “Settimane delle Scienze” per il MUSIS (Museo Multipolare delle Scienze e dell’Informazione) con mostre relative ai lavori degli studenti del Liceo G. De Sanctis di Roma. Ha organizzato e diretto numerosi corsi di aggiornamento di tipo disciplinare e metodologico. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni attinenti la didattica delle discipline suddette. E’ iscritta e collabora con l’ANISN dalla fine degli anni ’80.