Palena è un piccolo borgo in provincia di Chieti che sorge sul versante orientale del massiccio della Maiella sulle rive del fiume Aventino.Il territorio è abitato dagli esseri umani fin dal Paleolitico, le prime notizie storiche sono quelle di Diodoro Siculo che nel I secolo a.C. menziona la popolazione italica dei Peligni che abitava nella zona. Nel Medioevo eremiti e religiosi vi vissero a lungo trovando nel silenzio e nell’isolamento della montagna un luogo ideale per la preghiera e la meditazione in solitudine. San Francesco d’Assisi nel 1216 vi fondò un convento. I terremoti del 1706 e 1933 ferirono profondamente il piccolo centro, che fu poi quasi completamente distrutto durante la seconda guerra mondiale dai tedeschi e dall’aviazione americana, poiché ebbe la sventura di trovarsi sulla linea Gustav che da Cassino ad Ortona tagliava in due l’Italia. Molti monumenti furono ricostruiti dopo la guerra, nel centro del paese si può visitare il Castello Ducale di origine medioevale sorto sull’area dove sorgeva un antico tempio della dea Cerere, oggi è sede del Museo Geopaleontologico dell’Alto Aventino e di manifestazioni culturali.
Interessanti sono anche il quartiere medioevale, la chiesa di San Francesco del secolo XIII-XIV, completamente rifatta in stile barocco dopo il terremoto del 1700.
Nel territorio del comune si estendono pascoli e faggete che ospitano una flora che conta più di duemila specie; la fauna comprende il lupo, sporadicamente anche l’orso, ben 18 specie di chirotteri, molte specie di anfibi e rettili e invertebrati. Interessanti e ben articolati sono i musei naturalistici.
Il Museo dell’Orso Marsicano è ospitato in un’ala del convento di Sant’Antonio che risale al XVI secolo. Il museo cura molto l’aspetto divulgativo ed attraverso pannelli e diorami fa una descrizione a tutto tondo dell’orso bruno, cominciando dalla suggestiva ricostruzione dell’ambiente della foresta di notte con i suoni, i versi degli uccelli notturni, l’ululato lontano dei lupi. Molti pannelli e un totem di legno illustrano l’importanza della sua figura nelle culture di tutto il mondo come animale magico e simbolico.
Un aspetto importante è la descrizione della biologia dell’orso marsicano, una delle sottospecie dell’orso bruno (Ursus arctos marsicanus) attraverso un grande pannello interattivo. L’orso bruno euroasiatico (Ursus arctos arctos) è l’altra sottospecie che vive in Italia del nord.
Una sezione è dedicata al rischio di estinzione dell’orso marsicano ed alle misure per la sua tutela. La sottospecie è ormai ridotta a meno di 50 esemplari, numero ben inferiore alla soglia minima di rischio. L’orso bruno è infatti inserito nel Progetto Life Arctos, finanziato dalla Unione Europea, che vuole favorire la tutela delle popolazioni di orso bruno delle Alpi e degli Appennini ed adottare misure che ne favoriscano l’espansione, riducendo i conflitti con gli esseri umani e sviluppando l’informazione e la sensibilizzazione dei cittadini.
Si può abbinare alla visita del museo quella all’Area faunistica dell’Orso dove vengono ospitati esemplari di orso bruno che per diversi motivi non possono essere immessi in un ambiente naturale. L’area è di circa un ettaro e comprende un bosco di abeti, alberi da frutto, pascoli. Attualmente ospita una vecchia femmina proveniente da uno zoo-safari che è possibile osservare a distanza senza crearle disturbo.
In estate le visite si possono effettuare tutti i giorni, nel resto dell’anno solo il sabato e la domenica, ma per informazioni e aperture straordinarie è possibile prendere contatti con Luigia Di Sciullo guida competente ed appassionata oltre che molto disponibile.
“Stop&go di Luigia Di Sciullo, tel 339.8629165” – luigiadisciullo@virgilio.it.
Molto interessante è poi la visita al Museo Geopaleontologico dell’Alto Aventino ospitato nel Castello Ducale che si trova al centro del paese. Il museo offre una documentazione approfondita della geologia della valle dell’Aventino, introdotta dalla grande “Sala della conoscenza” che inquadra su chiari pannelli i temi generali della geologia e della paleontologia.
Sul fondo della sala è dedicato uno spazio ai grandi mammiferi del Quaternario trovati in diversi siti abruzzesi.
Le altre sale ospitano una notevole collezione di fossili del territorio di Palena fra cui pesci, molluschi, echinidi tipici di acque lagunari risalenti a 11 milioni-5 milioni di anni fa, una delle più importanti associazioni dell’antico Mediterraneo miocenico.
Il vero protagonista è però è il fossile perfettamente conservato del Prolagus, un piccolo mammifero lagomorfo ormai estinto, appartenente allo stesso ordine cui appartengono le lepri e i conigli. Fu ritrovato in località Capo di Fiume da dove provengono anche gli altri fossili di Palena.
Un’ampia sala denominata “Geologiocando” è dedicata alla didattica.
Uscendo poi sugli spalti del castello chiari pannelli illustrano la geologia delle montagne che si vedono sullo sfondo.
La visita al museo è gratuita e per informazioni e aperture straordinarie ci si può rivolgere a “Associazione Culturale Majella Madre tel. 3492547251. http://www.museogeopaleontologicopalena.it/Home.html
Un’ultima tappa per approfondire e completare la conoscenza geologica del territorio di Palena è quella alle sorgenti dell’Aventino in località “Capo di Fiume”, sito da cui provengono tutti i reperti fossili di Palena. Il loro studio ha permesso la ricostruzione dell’ambiente di 7 milioni di anni fa, quando iniziava a delinearsi l’attuale geografia della penisola italiana: si alternavano coste, lagune e paludi. La presenza di acque tranquille permise la conservazione dei resti che andavano a fondo e che venivano immediatamente ricoperti da sabbia e limo.
Il sito si può esplorare ed interpretare comodamente seguendo i cartelli disposti lungo il sentiero che costeggia la strada carrabile per il Passo della Forchetta. Si può anche percorrere un tratto lungo le rive del fiume verso le sue sorgenti carsiche. Le acque che qui risorgono provengono soprattutto dall’inghiottitoio del Fosso la Vera che drena la piana Quarto di Santa Chiara non lontano dalla stazione di Palena.
Articolo di A. Gaddini