L’assottigliamento
dello strato di ozono atmosferico
L’ozono si forma nella stratosfera, in una fascia che va dai 15 ai 60
Km di quota, per effetto delle radiazioni solari sulle molecole ossigeno
biatomico. Data la sua struttura triatomica l’ozono è in grado di
assorbire intensamente l’ultravioletto di lunghezza d’onda compresa
tra i 200 e i 300 nm, quindi la sua presenza agisce da schermo
protettivo alle radiazioni UV che potrebbero causare seri danni
climatici e biologici se raggiungessero direttamente la Terra.
L’assorbimento comporta la foto dissociazione dell’ozono secondo la
reazione:
O3
+ hv à
O2 + O
l’atomo di ossigeno che si forma si ricombina
rapidamente con l’ossigeno molecolare riformando ozono, in questo modo
non si ha una variazione nella composizione chimica dell’atmosfera, ma
i fotoni della radiazione solare sono continuamente assorbiti.
Le reazioni chimiche che contribuiscono a distruggere lo strato di ozono
atmosferico si possono raggruppare attorno a tre cicli catalitici.
1.
Azione catalitica degli ossidrili:
H
+ O2* + H à
HO2 + H /
HO2 +
O à
OH + O2 / OH + O3 à
HO2 + O2*
2.
Azione catalitica degli ossidi di azoto:
NO* + O3 à
NO2 + O2 / NO2 +
O à
NO + O2 / NO2 + NO à
NO* + O
3.
Azione catalitica dei composti del cloro:
Cl*
+ O3 à
ClO + O2 / ClO + O à
Cl* + O2
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in
queste reazioni chimiche sequenziali che avvengono in sistemi
aperti, con apporto continuo quindi di materia ed energia, onde
evitare errori di lettura ed interpretazione, sono stati
sottolineati quei composti che, fungendo sia da reagenti che da
prodotti delle singole reazioni intermedie, assicurano la
continuità del processo catalitico. Inoltre sono stati puntati
con un asterisco quei composti che aprono e chiudono il ciclo
catalitico. |
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Alcuni
di questi cicli, come quello degli ossidi di azoto e del cloro
(quest’ultimo alimentato dall’immissione nell’atmosfera di
clorofluorocarburi usati nelle confezioni spray come propellenti), sono
influenzati dalle attività umane. Proprio a questi cicli sarebbe da
attribuire il “buco”, ossia l’assottigliamento dello strato di
ozono, scoperto negli anni settanta sopra l’Antartide e poi
riscontrato dalla fine degli anni ottanta anche sopra il Polo Artico e
l’Atlantico settentrionale. Fra le varie spiegazioni di questo
fenomeno si è fatta strada l’ipotesi che vengano immesse
nell’atmosfera delle sostanze gassose con peso specifico inferiore a
quello medio dell’aria e capaci di trasformare le molecole di ozono O3
nell’ossigeno ordinario O2.
I clorofluorocarburi
sono molecole contenenti carbonio, fluoro, cloro e talvolta idrogeno, i
prodotti commerciali derivati dal loro impiego portano i nomi di Freon,
Frigen, Algofren e simili, seguiti da indicazioni numeriche che fanno
riferimento alla loro composizione molecolare. Le prime molecole di
questa serie sono state preparate industrialmente intorno agli anni
trenta come fluidi, in sostituzione dell’ammoniaca e dell’anidride
solforosa, adatti al trasferimento del calore nei frigoriferi e come
agenti per estinguere gli incendi. Col perfezionamento delle conoscenze
sulla chimica dei CFC l’industria ha scoperto che potevano essere
usati in molte altre applicazioni come nei processi di produzione delle
materie plastiche espanse; ad esempio il polistirolo espanso si presenta
in lastre modellabili, o in trucioli per riempire gli imballaggi: è un
materiale rigido, buon isolante termico e acustico, molto leggero
proprio perché contiene al suo interno degli alveoli pieni di CFC. Si
possono inoltre preparare resine espanse elastiche come quelle a base di
poliuretani, perfettamente adatte per imbottiture di materassi, sedie e
poltrone, poiché queste si formano facendo gonfiare la materia plastica
insieme ai clorofluorocarburi, che restano “intrappolati” nel
materiale finale. Andando avanti con la ricerca di nuove applicazioni si
è visto che gli idrocarburi alogenati si prestavano bene come solventi
nella pulizia di componenti elettroniche, e poi come propellenti per
prodotti venduti in confezioni spray, dai cosmetici agli insetticidi, ai
profumi, alle vernici, ai deodoranti.
Se i composti organici
sono degradati nella troposfera, i CFC, invece, che non contengono siti
reattivi,
vengono trasportati nella stratosfera e distrutti solo mediante fotolisi
UV ad alta energia con formazione di Cl che interagisce con
l’ozono; quindi i clorofluorocarburi, che hanno tra l’altro un tempo
di vita assai lungo (dai 60 ai 400 anni), agiscono da catalizzatori
nella decomposizione dell’ozono. L’allarme lanciato dai ricercatori
dell’EPA (agenzia statunitense per la protezione ambientale) e da
altri organismi internazionali per la difesa dell’ambiente ha indotto
l’industria a utilizzare alocarburi contenenti almeno un atomo di
idrogeno in grado di interagire con i radicali OH e quindi già
degradabili nella troposfera. In accordo al Trattato di Montreal del
1987 e alla Conferenza di Londra del 1990, dal 1993 l’Italia ha messo
al bando la produzione dei CFC.
Per quanto riguarda
invece i vari ossidi di azoto, che si producono alle diverse quote, la
situazione è più complessa: p.e. N2O (che si forma a
terra), salendo nella stratosfera, viene ossidato a NOX
che può combinarsi alle alte quote con il radicale Cl agendo in
questo modo in difesa dell’ozono, che sarebbe distrutto dalla reazione
con quella specie chimica. Invece NOX formato nella
bassa stratosfera contribuisce alla distruzione dell’ozono reagendo
con questa molecola.
La concentrazione di ozono non è comunque determinata solo dalle
reazioni chimiche ma dipende anche dai processi di trasporto che
esistono nella stratosfera, come prova il fatto che mentre la produzione
di ozono è massima nella stratosfera tropicale, la massima
concentrazione di ozono si trova alle medie-alte latitudini.