Oltre a provocare danni alla
biosfera, le piogge acide sono la causa dei rapidi deterioramenti di numerose
opere d’arte, ne è prova l’Acropoli dell’inquinatissima Atene: sebbene
statue come quella di Cecrope e il Pandrasso di Fidia abbiano sfidato l’usura
per moltissimi secoli, in questi ultimi anni sono state consumate e divorate per
diversi millimetri di profondità.
Dobbiamo
renderci conto del degrado provocato dall’incremento dell’inquinamento
atmosferico negli ultimi 50 anni: se, anche nei secoli passati fosse stata
presente nell’atmosfera la stessa concentrazione di inquinanti acidi, nessun
monumento antico ci sarebbe pervenuto.
Sono
molteplici i meccanismi attraverso i quali sostanze nocive vengono a contatto
con manufatti in pietra calcarea, statue, monumenti, ecc.: il più frequente è
quello costituito dall’azione chimica e, al tempo stesso, meccanica di
rimozione dei materiali resi solubili dalle piogge acide; un altro è dovuto al
fenomeno di condensazione che favorisce la concentrazione di gas contaminanti al
momento dell’evaporazione.
Anche
l’attività di alcuni microrganismi (vedi foto), capaci di utilizzare sia le
sostanze corrosive che quelle corrose, contribuisce al deterioramento dei
monumenti, infine l’umidità facilita la fissazione diretta di questi gas,
tanto che la concentrazione di SO2
è relativamente bassa anche in zone ad alta emissione.
Nella foto qui a lato, eseguita col microscopio a scansione, si possono
osservare ife fungine che, penetrate nel materiale da costruzione, lo disgregano
(foto tratta da Quaderni Le scienze N. 40).
L’acido
solforico, contenuto nelle piogge acide, reagisce con il carbonato di calcio
presente nelle pietre calcaree, trasformandolo in solfato di calcio (gesso, CaSO4),
così le acque di precipitazione lo rimuovono ed espongono la superficie ancora
integra ad ulteriori aggressioni.
La
presenza di acido carbonico (H2CO3)
nella pioggia è un altro fattore che concorre al deterioramento dei materiali
calcarei: esso, penetrando nelle porosità della pietra, solubilizza il
carbonato di calcio (CaCO3),
che si ricristallizza sulla superficie dopo l’evaporazione dell’acqua, in
seguito al ristabilirsi di un nuovo equilibrio carbonato-bicarbonato.
Sebbene
sia difficile crederlo anche i materiali
lapidei sono soggetti alle malattie: una di queste è la disgregazione
sabbiosa, che si manifesta omogeneamente su tutta la superficie attraverso il
distacco sabbioso e polverulento del materiale corroso, un’altra è l’esfoliazione,
detta anche “malattia a placche” poiché lo strato superficiale della pietra
si solleva di qualche millimetro dagli strati sottostanti, formando delle vere e
proprie scaglie, che, arrivate ad un grado avanzato di deterioramento, si
staccano permettendo in questo modo la formazione di un nuovo strato di lamelle.
è
stato dimostrato che le pietre non sono i soli materiali esposti
all’inquinamento, infatti gran parte dei metalli utilizzati in campo edile e
artistico subiscono un processo di corrosione molto accelerato, ad esempio è
nota ad ognuno di noi la formazione della patina verdastra che riveste ormai
tutte le statue bronzee delle nostre città.
Questo
fenomeno è dovuto alla formazione di solfato pentaidrato di rame (CuSO4×5H2O)
dato che il bronzo è una lega di rame, stagno e zinco: ne è una prova il caso
dei cavalli di San Marco in Venezia.
Esistono
poi batteri capaci di ossidare l’acido solfidrico (H2S)
ad acido solforico e altri in grado di ossidare l’azoto ridotto presente
nell’atmosfera sotto forma di ammoniaca (NH3)
ad acido nitrico (HNO3),
quindi è facile capire che questi microrganismi autotrofi (capaci di produrre
sostanze nutritive a partire da materiali inorganici) sono anch’essi veicoli
di deterioramento delle pietre calcaree.
Una
volta concluso il loro ciclo vitale, essi forniscono sostanze organiche
essenziali per la crescita di microrganismi eterotrofi, capaci cioè di crescere
solo in presenza di sostanze organiche, come muffe e batteri.